
Si è parlato più e più volte di Pier Paolo Pasolini, si è romanzata la sua storia secondo la versione “comoda”. Si è cercato di spostare l’attenzione dall’intellettuale all’omosessuale, dispregiandolo. L’ultima sua opera incompiuta, Petrolio, è stata trafugata, manipolata. Delle 600 pagine che l’autore disse di aver scritto, ne abbiamo 522.
Ma nonostante tutti gli sforzi di mettere a tacere quella che De André ha chiamato Una storia sbagliata, rimangono le persone che sono state vicine al poeta, tutti i giornalisti che hanno condotto inchieste fondamentali, ma soprattutto, il mistero intorno alla sua morte va via via dipandandosi.
Si sa oramai – oltre a Pino Pelosi, unico assassino ufficialmente riconosciuto, – del coinvolgimento di altre persone la notte dell’omicidio e di molte di queste persone si sanno anche i nomi. Si sa che Pasolini è morto massacrato, non da tavolette di legno, come riportano gli atti, ma da oggetti contundenti come bastoni, tondini di ferro e catene, e poi arrotato più volte con due macchine.
Quello che si è voluto far credere, come risulta dal fascicolo 1466/75 del procedimento penale riguardante l’omicidio di Pasolini, è la versione dell’aggressione a sfondo sessuale. Semplificando, l’autore si sarebbe appartato a cercare intimità con l’allora minorenne Pelosi, il quale, avrebbe reagito alle “strane richieste” per legittima difesa. L’esistenza di una baracca che lo scrittore era solito affittare all’Idroscalo, non ha mai avuto riscontri; le analisi hanno dimostrato che non c’è stato nessun rapporto sessuale tra i due, ma al di là di questo, Pasolini era lì per un altro motivo e probabilmente non ha raggiunto l’Idroscalo soltanto in compagnia di Pelosi.
Nell’agosto del 1975, negli stabilimenti della Technicolor, vengono rubate le pizze di Un genio, due compari, un pollo di Damiano Damiani, Casanova di Fellini e Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini. Opera, quest’ultima, tratta dal romanzo Le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade, e che metteva in luce la mercificazione dei corpi a opera del potere. A proposito di Salò, Pasolini dice a Gideon Bachmann: “Nulla è più anarchico del potere. Il potere fa ciò che vuole e ciò che vuole è completamente arbitrario o dettato da necessità di carattere economico che sfuggono alla logica comune.” Il libro Pier Paolo Pasolini Polemica Politica Poltere, raccoglie le numerose registrazioni che Bachman fece e alcune fotografie.
Pasolini, come lui stesso ha dichiarato, “sapeva”. Il poeta Dario Bellezza, nonché segretario dell’autore per un periodo, scrive nel libro Il poeta assassinato, che lo scrittore gli aveva confidato di essere venuto in possesso di documenti compromettenti su un notabile DC. Nel libro Profondo Nero si afferma che Petrolio non è un solo un romanzo, ma una denuncia che riguarda il delitto Mattei, nell’opera “Bonocore”. In particolare, si fa qui riferimento all’ “Appunto 21” mai ritrovato. Una “pista monca” come la definisce Simona Zecchi nel suo libro inchiesta Pasolini massacro di un poeta, nel quale riporta le parole di una sua fonte “criminale” al proposito: “Se lo dovevano leva’ dal cazzo perché sapeva troppo, sapeva vita morte e miracoli de tutti; devi partì da ‘sto principio: che Pasolini poi frequentava la Roma bene, l’alta borghesia e lui diceva in giro a questi che stava scrivendo, sapeva troppo anche le cose che non erano mai state pubblicate. (…) Mattei n’centra proprio. De più non te posso dì.”
Ma torniamo al furto delle pizze di Salò. Fu chiesto inizialmente un riscatto di due miliardi di lire, richiesta rifiutata dal produttore Grimaldi. Ci sono due dichiarazioni al riguardo, lasciate da Sergio Citti al Corriere della Sera, nella più recente sosteneva che Pasolini gli aveva detto di aver trovato da solo un contatto per riavere i negativi del film e che aveva appuntamento la sera del primo novembre a Acila. Nella più vecchia, sosteneva che “certa gente” gli aveva rivelato come era andata e che c’erano due mezz’ore chiave in cui erano accadute cose fondamentali che avrebbero portato Pasolini all’Idroscalo. Quest’ultima testimonianza è stata rilevata dal regista Marco Tullio Giordana in Pasolini, un delitto italiano e ripresa da Simona Zecchi, nel libro sopracitato.
Tuttavia, Citti non chiederà mai di essere ascoltato. Avvicinandomi al focus che voglio fare, grazie anche a tutte le indagini condotte da persone realmente interessate a scoprire come si sono svolti fatti, persone tra le quali non rientrano quasi mai giudici e magistrati, ricordo anche la posizione di un altro vicino al poeta, il cugino Nico Naldini: “Vorrei aggiungere che non credo assolutamente alla versione dell’agguato in quanto le indagini fatte hanno dimostrato che non esisteva altra verità. Gli interrogatori della Polizia, che io ho letto, contengono tutti gli elementi che poi hanno portato alla sentenza di condanna definitiva del Pelosi, che è la verità ufficiale.”
Già Oriana Fallaci, nella sua indagine parallela condotta sull’Europeo mette in luce quelle che non possono essere considerate semplici negligenze da parte della polizia, il 21 novembre del 1975 Gian Carlo Mazzini ne elenca i sei errori: non aver protetto la scena del crimine; non aver repertato e mappato con precisione i ritrovamenti, non aver custodito con cura la macchina di Pasolini; essere tornati sul luogo del delitto solo il giorno successivo quando la maggior parte delle tracce erano state cancellate; non aver subito interrogato gli abitanti della zona e i suoi frequentatori; non aver mai convocato sul posto il medico legale. A questi si aggiungono: la mancanza della deposizione di Alberto Moravia; le testimonianze di Anna Salvitti e del fratello Domenico mai riportate in un verbale, due cartelle e mezzo di deposizione firmate da una nuova testimone mai riportate nel fascicolo del procedimento penale, e molte altre messe in evidenza dalla nuova analisi della Zecchi.
È dunque comprensibile che Naldini parli di “verità ufficiale” è meno comprensibile invece, il suo appoggio a questa versione. Un resoconto dei fatti costruito ad hoc che ancora oggi si cerca di diffondere tornando al movente sessuale. Basti pensare al Pasolini di Abel Ferrara, il quale contribuisce a divulgare la tesi ufficiale, quella “comoda”, ma falsa.
Le inchieste giornalistiche fatte, le indagini giudiziarie non fatte, le minacce, le morti strane di chi era sulla giusta strada, i documenti fatti sparire, il silenzio omertoso, la paura, le bugie, i soldi, gli interessi politici, il non potere nulla contro un uomo che non era ricattabile, tutto insieme dice la stessa cosa, quello che nessuno scrive esplicitamente. Alla stessa maniera di Pasolini, per metafore poco tra le righe, rivelando platealmente la verità seppur non in maniera diretta.
Ho ripercorso per sommi capi quello che è stato ampiamente approfondito e documentato, non ho riportato che pochi input di una vicenda complessa che non ha ancora avuto scandalosamente giustizia. Quello che mi sembra emergere evidente più che mai, dai libri, i documentari, le interviste, è che l’omicidio dell’intellettuale sia avvenuto grazie alla complicità della Polizia, dei politici, dei mafiosi e dei massoni e non solo di allora.
Riporto poche righe di un’intervista rilasciata da Oriana Fallaci, il cui rapporto con Pasolini è ripercorso in un libro recentemente edito: Pasolini un uomo scomodo.
“La mia scarsa stima del cosiddetto sistema giudiziario non è incominciata quando i magistrati si sono messi a fare politica, ossia ad applicare gli interessi dei loro partiti, la loro ideologia politica, al Codice Penale. È incominciata proprio per l’esperienza che ho avuto dopo la morte di Pasolini.”
Pochi giorni fa è morto l’attore Franco Citti, definito da tutti “l’Accattone di Pasolini”, Ninetto Davoli al funerale ha detto che il cerchio si sta stringendo, con Citti se ne va un altro pezzo di quell’epoca. Il ricordo rimane, sempre.