
Cristina Preti, laureata in Scienze Politiche, è funzionario regionale e dal 2011 Presidente della Scuola Interregionale di Polizia Locale (che riunisce, oltre alla Toscana, l’Emilia Romagna ela Liguria), occupandosi della formazione e dell’aggiornamento del personale di Polizia Locale delle tre regioni. Appassionata di canto e di scrittura, nel luglio 2012, per la casa editrice Eclissi, ha pubblicato il suo secondo romanzo, “Ma per fortuna è una notte di luna – Trilogia pucciniana con delitto”, ambientato nel mondo del teatro d’opera.
Dalla sua presentazione emerge la convivenza in lei di due opposte nature: razionale da una parte, artistica dall’altra. Le ha mai creato difficoltà questa dicotomia?
Queste due tendenze hanno sempre convissuto in me abbastanza pacificamente, alimentandosi l’un l’altra. Gli studi universitari e la professione da un lato sono stati allietati e alleggeriti dalle mie passioni artistiche, che si sono comunque nutrite del rigore e della sistematicità che mi vengono dal lato più razionale di me stessa. Anche nella fantasia ci sono delle regole; dedicarsi al canto o scrivere un libro sono attività che necessitano di grandissima applicazione e disciplina, così come nella professione non nuoce il tocco di leggerezza e di fantasia che soltanto le espressioni artistiche sanno dare.
Le sue grandi passioni sono il canto e la scrittura: quando sono nate? Le ha sempre coltivate in ugual misura?
Mi sono avvicinata al canto a 13 anni, entrando a far parte con mia madre del Coro di Santa Cecilia della Collegiata della mia città, Empoli. Nel corso della prima prova cui partecipai, i coristi eseguirono l’Halleluja dal Messia di Händel. Fu una folgorazione. Da allora non ho mai smesso di ascoltare musica e di cantare, affiancando agli studi universitari e poi al lavoro lo studio del canto e aderendo a varie formazioni corali ed ensemble, e, dal 1999, partecipando ogni anno come corista alla stagione del Festival Pucciniano di Torre del Lago. Anche alla scrittura mi sono dedicata fin da piccola; iniziai a scrivere il mio primo diario a 9 anni, continuando con pagine e pagine di resoconti e lettere, abbozzi di trame e racconti, scalette di romanzi, ma senza investirci più di tanto. Diciamo che fino a poco tempo fa, a parte lo studio e il lavoro, ho soprattutto cantato.
Il suo secondo romanzo esce dopo il successo riscontrato dal suo primo romanzo “La donna che morì bevendo caffè”, pubblicato nel 2011 dalla casa editrice Eclissi di Milano. Quando ha deciso di dedicarsi concretamente alla scrittura? Ci vuole raccontare il suo percorso per arrivare alla pubblicazione dei suoi due romanzi con la casa editrice Eclissi?
Nel 2009, grazie a un corso tenuto dall’Officina del Talento di Empoli intitolato “Fa bene scrivere, inventando storie”, finalmente riuscii a sbloccare quel qualcosa che mi aveva sempre impedito di portare a termine i miei progetti di scrittura. Sicuramente era il corso giusto al momento giusto. In pochi mesi scrissi un romanzo, poi lo corressi, infine ne feci stampare 50 copie a mie spese, per mia soddisfazione, senza cedere i diritti. Chi lo leggeva – amici e parenti – mi faceva un sacco di complimenti, allora tirai giù da internet gli indirizzi di una decina di case editrici di medio-piccolo livello e spedii loro il volume. Era il 14 luglio del 2010. Cinque giorni dopo ricevetti la telefonata di Eclissi, una casa editrice di Milano; per puro caso “La donna che morì bevendo caffè” era stato letto subito, senza che dovessero passare i mesi (se non addirittura gli anni) di attesa cui di solito sono destinati i manoscritti a causa della gran mole di materiale che viene proposto ogni giorno agli editori. Il mio romanzo era piaciuto molto, e me ne proponevano la pubblicazione. Mi sembrò un po’ strano, non è facile trovare qualcuno disposto a investire su un autore esordiente e sconosciuto; sospettai addirittura ci fosse sotto qualcosa, e che mi volessero far pagare per la pubblicazione. Niente di tutto ciò, mi proposero un contratto serissimo, del tutto regolare. Quando poi ho terminato di scrivere il mio secondo romanzo, l’ho nuovamente sottoposto a Eclissi, che ha accettato la mia proposta e lo ha pubblicato.
Il suo ultimo romanzo è un racconto avvincente suddiviso in tre atti, dove tre opere pucciniane, ovvero la Bohème, Madama Butterfly e Tosca, si intrecciano tra passione e morte sulle rive di Torre del Lago. Per le trame si è lasciata ispirare direttamente da un particolare Festival Pucciniano?
L’ambientazione è reale; il romanzo si svolge nel corso dell’edizione del Festival Pucciniano dell’anno 2008, in cui fu realmente inaugurato il “nuovo teatro”, la struttura fissa che ha preso il posto di quella provvisoria, tutta di ponteggi, su cui le opere del Festival sono state allestite per quasi trent’anni. Le trame e i personaggi del romanzo, invece, sono di pura fantasia: ci mancherebbe! Viene persino ucciso un tenore in scena… però ho chiaramente cercato di restituire i “caratteri” di artisti e tecnici che si incontrano sul palco e soprattutto nel retropalco, di quella umanità vivace e pittoresca che costituisce uno dei motivi di maggior fascino dell’ambiente teatrale. Ed è stata proprio la descrizione del “dietro le quinte” a incuriosire e interessare i lettori, soprattutto quelli che con il mondo dell’opera non hanno grande dimestichezza. Molti di loro mi hanno detto che una volta terminata la lettura hanno provato un gran desiderio di ascoltare le opere di Puccini e di andare a vederle a teatro.
Dal suo romanzo emerge uno spaccato di vita operistica, tra il precariato di coristi come il basso Enrico, l’adrenalinica vita dei cantanti solisti come Noriko Ishikawa e dei direttori d’orchestra come Gemignani, in bilico tra l’orgoglio dato dai successi e lo stress dettato dai continui spostamenti e dallo studio serrato. Queste molteplici realtà traggono ispirazione dalla vita reale? Pensa che il successo possa colmare lo stress di una vita errabonda e con legami precari?
Frequentando da tanto tempo il palcoscenico, e osservandolo dal punto di vista privilegiato di chi non ne è completamente coinvolto dato che per professione faccio altro, mi son trovata a riflettere sulle motivazioni e le attitudini di chi ne è protagonista e di chi ci basa tutta la propria vita. Personalmente credo che le professioni artistiche, e in particolar modo quelle musicali, soprattutto quando garantiscono una certa stabilità e non espongono quindi continuamente l’artista al rischio di restare senza lavoro, siano le migliori, le più affascinanti, quelle che danno le maggiori soddisfazioni, perché consentono di stare continuamente in contatto con la Bellezza; e la Bellezza, secondo l’arcinota citazione da Dostoevskij, salverà il mondo. Certo, bisogna che chi le intraprende affronti e sopporti quelli che ad alcuni possono sembrare aspetti faticosi o negativi, come, appunto, doversi spostare spesso, stare lontano dalla famiglia e dagli affetti, sottoporsi continuamente al severo giudizio del pubblico e della temuta critica. Ma il fuoco sacro dell’arte che brucia nell’animo di chi canta e di chi suona riesce, secondo me, ad aver ragione di tutto il resto; se poi c’è anche il successo, meglio.
Secondo lei personaggi infidi ma al contempo geniali come Gianmarco Sala sono all’ordine del giorno nel mondo operistico?
Povero Gianmarco Sala, l’ho fatto morire e un po’ me ne pento, perché è un personaggio che, in fondo, a me sta simpatico. Un ragazzone gaudente che prende la vita alla leggera, un tenore dalla voce facile – che non si è dovuto sfinire di studi per arrivare al successo – e che nella vita non si priva di nessun piacere, finendo appunto per essere un tipo poco affidabile. È un personaggio che ho inventato e che può darsi abbia qualche tratto in comune con cantanti realmente esistenti, ma dire che persone come lui siano all’ordine del giorno nel mondo operistico è un po’ una forzatura. I cantanti devono vedersela con quell’ingombrante talento che è la voce, che dà tanto, ma chiede anche tanto in termini di cura, studio, applicazione, cosa che tende a rendere i cantanti, anche quelli più bizzarri e originali, persone a loro modo sagge. Diciamo che Gianmarco Sala, oltre ad essere una simpatica canaglia, è decisamente un cantante anomalo.
Il romanzo presenta grande padronanza e proprietà di linguaggio, sia in campo operistico che balistico: ha avuto difficoltà nella sua stesura?
Nessuna particolare difficoltà per quanto riguarda gli aspetti musicali, teatrali e operistici. Mi sono rivolta ad amici, invece, per avere informazioni e consigli sulle armi antiche – Gianmarco Sala viene ucciso sul palcoscenico, durante la celeberrima scena della fucilazione che chiudela Tosca, colpito a morte dalla scarica esplosa dai figuranti che impugnano riproduzioni di moschetti di epoca napoleonica – e sulle indagini di polizia; per lavoro ho a che fare tutti i giorni con le polizie municipali, ma non ho mai particolarmente approfondito le mie conoscenze sulle procedure e le tecniche di polizia giudiziaria.
C’è stata, poi, la difficoltà di accostarsi a un genere – il poliziesco – che è molto complicato. La trama va costruita attentamente e costantemente governata per far sì che alla fine tutti i pezzi si ricompongano in quella che è la soluzione del caso, senza trasformare la narrazione in un arido esercizio logico e dosando accuratamente tutti gli ingredienti narrativi di contorno. Una scrittura complessa per la quale non avevo nessuna preparazione tecnica, se non l’esperienza di lettura di tanti gialli di Agatha Christie. Ho corretto e ricorretto infinite volte diverse parti del mio romanzo, aggiungendo e togliendo continuamente, prima di arrivare a un testo che mi soddisfacesse davvero.
Quali saranno i suoi prossimi appuntamenti legati a “Ma per fortuna è una notte di luna – Trilogia pucciniana con delitto”?
Il 26 gennaio 2013, alle 21,30, nell’ambito del festival “Il frantoio parlante”, a San Miniato, andrà in scena una presentazione-spettacolo del romanzo, intitolata “Una notte d’inverno un recensore”. Un breve testo teatrale che ho scritto io stessa, in cui immagino che una giornalista sia costretta a leggere il libro e recensirlo in una sola notte; l’attrice che interpreterà la giornalista è Silvia Bagnoli, ed interverrò io stessa, nei panni, naturalmente, dell’autrice del romanzo… un modo ironico e insolito per raccontare il senso del mio libro.
Il 25 febbraio 2013, alle 17.00, una presentazione più “classica”, a Firenze, nell’ambito delle conferenze organizzate dal Lyceum; lì sarò presentata da Marco Vincenzi, che nella sua doppia veste di musicologo e musicista presenterà il romanzo e accompagnerà al pianoforte il soprano Patrizia Cigna, che eseguirà alcune arie pucciniane.
Ha in progetto la stesura di nuovi romanzi?
Ho iniziato da poco a scrivere una nuova storia, in cui la musica è del tutto assente e che torna ai temi del mio primo romanzo, che mi sono assai cari; la famiglia, il matrimonio, i figli, i rapporti col passato e la memoria. Però credo che prima di varare questa terza fatica cercherò di dare attuazione a un progetto completamente diverso, e che ho appena terminato di scrivere; una commedia teatrale di carattere brillante e di tono agro-dolce, che ha per protagoniste tre giovani amiche alle prese con le scelte decisive della vita e, naturalmente, con gli uomini. Spero di trovare il modo di metterla in scena, magari proprio nella mia città. Si intitola “Il sesso scomodo”.
Come concilia le sue molteplici occupazioni (essere Funzionario regionale e Presidente della Scuola Interregionale di Polizia Locale, corista del Festival Pucciniano di Torre del Lago, conduttrice di gruppi di scrittura presso l’Officina del Talento di Empoli) con la sua famiglia?
Bella domanda…intanto, ai gruppi di scrittura dell’Officina del Talento ho dovuto rinunciare, sia pure a malincuore, proprio per motivi di tempo. Quanto al resto, alcune attività sono circoscritte a periodi limitati; il Festival mi impegna solo d’estate, e le mie vacanze le faccio con tutta la famiglia proprio a Torre del Lago. Riconosco comunque di essere una persona iperattiva; non sto mai ferma, cerco di sfruttare ogni momento utile, ma per questo basta non guardare mai la televisione!
Cosa consiglia ad un giovane che desidera avvicinarsi a questa realtà e pubblicare romanzi?
Non solo non so cosa consigliare, ma avrei bisogno io stessa di qualche dritta… la cosa che mi angoscia attualmente è il rischio della ripetitività. I miei primi due romanzi sono completamente diversi l’uno dall’altro, ma adesso che mi accingo al terzo, mi accorgo che il rischio di ripetersi è altissimo. Qualcuno sa dirmi quali strategie si devono adottare per risolvere il problema?