Home Teatro Ragazzi di vita ovvero l’arrivo della “pipinara”!

Ragazzi di vita ovvero l’arrivo della “pipinara”!

Un collage di spaccati di vita delle borgata romane negli anni del dopoguerra

L’adattamento di Massimo Popolizio, su drammaturgia di Emanuele Trevi, di “Ragazzi di vita” in scena al teatro Argentina di Roma, chiude l’anno pasoliniano con la messa in scena del primo romanzo del “poeta corsaro”, pubblicato nel 1955, romanzo che gli valse un processo (da cui venne peraltro prosciolto con formula piena) con l’accusa di trattare temi immorali, come la prostituzione maschile, nonché l’etichetta di provocatore della società perbenista.

La vicenda è ambientata a Roma nel secondo dopoguerra, i protagonisti sono i ragazzi del titolo, un popolo selvaggio, una squadra, un gruppo, oggi lo chiameremmo un branco, di povere anime “con gli occhi scintillanti come du’ cozze”, spregiudicati e spensierati adolescenti provenienti dalla classe sociale più bassa, che abitano nelle borgate, abituati a vivere di espedienti, furti, rapine, lavoretti di ogni genere, più o meno legali, in un mondo povero, caotico, periferico, che  tuttavia conserva ancora l’autenticità di un mondo semplice e sotto certi aspetti primitivo, non ancora corrotto dal consumismo, ma dove non esistono punti di riferimento (come la famiglia o la scuola) e dove ogni giorno i protagonisti devono confrontarsi con la noia, la miseria e la morte, eventi che scandiscono le giornate di questi ragazzi molto simili a tanti altri che uscivano dalla seconda guerra mondiale.

Lorenzo Grilli e Josafat Vagni
Lorenzo Grilli e Josafat Vagni

L’occhio del regista segue le avventure dei ragazzi nello spazio contraddittorio di una  Roma post-bellica, dai luoghi monumentali del centro alle periferie più degradate, abitate da un’umanità semplice, quasi primitiva. Questa messa in scena, però, non è la trasposizione del romanzo come narrazione, ma piuttosto una serie di scene, di “inquadrature”, che trasformano e coniugano senza soluzione di continuità il senso del comico e quello del tragico e dove prevalgono una marcata gestualità e il parlato romanesco.

Il già ampio spazio dell’ Argentina è esteso con un prolungamento del palcoscenico: il risultato è uno spettacolo aperto, dove tutto è sulle spalle del narratore (Lino Guanciale) e dei 18 attori (tra i quali cinque attrici); lo spazio del teatro è vuoto e in quel vuoto il regista va alla ricerca di Pasolini e ne dà la sua traduzione teatrale esaltando  il gusto per la parola, rendendola viva e fremente. Al centro della scena i giovani e funambolici interpreti si muovono in una  coreografia tra il proscenio, davanti a sfondi con astratte immagini proiettate e in movimento, e l’intera dimensione del grande palco del teatro,  sempre immersi nel gioco di luci; con loro pochi elementi a delimitare le varie situazioni e carrelli semovibili a far da barconi o tram, ed una colonna sonora che affonda le radici nell’ humus melodico di Claudio Villa.

Sorprende la vicinanza degli attori in proscenio,  perché permette una partecipazione molto intima alle loro vicende e l’uso di tutta la profondità di palco, nonché degli spazi sopraelevati e dei primi palchetti, fino a creare un vero e proprio  spazio-mondo fatto di distanze e altezze come una città vera.

Il bagno al Lido di Ostia

La voce del narratore, i protagonisti che parlano di sé stessi in terza persona e le canzoni ricantate sulle musiche originali ci mostrano piccoli quadri della vita quotidiana dei giovani romani, che diventano simbolo di una generazione e di un’età di passaggio, e si finisce per trovarsi avvolti nelle vicende di Riccetto (un personaggio che ha un’importanza  straordinaria) nei due episodi simbolici dell’inizio e della fine del romanzo, quando prima salva una rondine che sta annegando e poi lascia morire, senza intervenire, Genesio  un ragazzino della borgata, o  nella splendida, struggente storia del “fusajaro”, il ragazzo che vende i lupini in un cinema romano (esiste ancora, ma all’epoca si chiamava Borgia) il quale desidera teneramente e con tutto se stesso uno maglione azzurro.

Da una parte ci sono i ragazzi immersi nell’ immediatezza di quello che fanno e dall’altro un personaggio, quello di Lino Guanciale che, attenzione, non è Pasolini, ma piuttosto un punto di connessione tra le varie situazioni, che quasi li spia e  li osserva come fosse un drone e poi piomba in “medias res”: liberamente va e viene, si confonde e si stacca dal corpo collettivo degli attori, è un narratore, ma anche un testimone, una figura che si aggira tenendo la giacca sulle spalle; è vicino e nel contempo lontano, non disdegna di confondersi fra i personaggi, di ascoltarli, di provocarli, di incoraggiarli, è costantemente dentro l’azione e non si risparmia un attimo (diventa anche macchinista all’occorrenza). E con lui il meraviglioso duo degli interpreti di Riccetto (Lorenzo Grilli) e Agnolo (Josafat Vagni), entrambi divertenti e drammatici allo stesso tempo, dalla straordinaria mimica facciale e “vocale”.

Quello che colpisce è la coralità di una drammaturgia brulicante di vite e di voci, perfettamente esemplificata dalla scena del  tram dove, in poche battute, si avvicendano ben undici voci. Ecco la “pipinara“! L’assalto, l’invasione delle orde brulicanti e vocianti dei giovanissimi sottoproletari che dalle periferie scendevano verso Roma, il centro del desiderio….dal Fontanone a Piazza di Spagna, dal Tiburtino a Centocelle, dalle acque del fiume Tevere ai bagni del Lido di Ostia, teatri di mascalzonate e ruberie, lungo un itinerario immaginifico che diventa un “set di scene”, frammenti di storie in continuo cambiamento che ritraggono una Roma che non c’è più e dove, forse, si rintraccia il senso dell’estraneità dei nostri tempi, in cui  stiamo tornando a un certo tipo di sottoproletariato per l’aumento del divario tra ricchi e meno ricchi.

La “pipinara”

Popolizio in un’ora e quarantacinque di spettacolo (a fronte di circa trecento pagine scritte) rappresenta quel mondo con estremo realismo, sottolineando il valore della parola e, soprattutto, della lingua pasoliniana; con una geniale inversione il Glossario voluto da Pasolini a fine romanzo per chiarire alcuni termini, qui diventa  un esilarante duetto fra  due donne delle pulizie che cercano di chiarirsi e di tradurre alcuni termini dialettali entrati ormai nel linguaggio comune, l’italiana dice la definizione italiana e l’ucraina il corrispondente termine romanesco.

Ragazzi di vita” è uno spettacolo per chi è romano ed ama Roma, per ripercorrerla con la memoria e la nostalgia,  ma anche per chi non lo è, per chi ama Pasolini e per chi non lo ama, perché la sua assenza è ancora misteriosamente, ma indelebilmente, presente.

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