Home Teatro L’assurdità della società umana di Ionesco a Modena

L’assurdità della società umana di Ionesco a Modena

[rating=3]Interno  borghese  inglese,  con  poltrone  inglesi. Serata inglese. Il signor Smith, inglese, nella sua poltrona e nelle sue pantofole inglesi, fuma la sua pipa inglese e legge un giornale inglese accanto a un fuoco inglese.” Questo è l’inizio del capolavoro di Eugene Ionesco, la “Cantatrice calva” rappresentata al teatro Storchi di Modena, per la regia di Massimo Castri.

L’incoerenza, l’incomunicabilità e la totale interscambiabilità delle persone, che vivono in una società vuota e vengono trattate come numeri, questi sono solo alcuni dei temi che si possono trovare in uno dei testi più rappresentati e famosi del Teatro dell’Assurdo, di cui Ionesco è un degno rappresentante. Le situazioni si susseguono destrutturate, il testo in alcuni punti assomiglia ad una lista della spesa di frasi vuote (Ionesco ha tratto ispirazione dai corsi di lingua per corrispondenza, pieni di frasi ovvie ma assurde: “il pavimento è in basso, il soffitto è in alto”), gli argomenti di conversazione sono di basso livello (si parla di cucina, dell’olio del droghiere e delle notizie di cronaca sul giornale). L’uomo non si eleva, resta a brancolare nel buio di una società che pretende da lui l’apparenza e niente più. I coniugi Smith trovano futili pretesti per litigare quando non si ignorano l’un l’altro, mentre i Martin si sono persi, si ritrovano in scena, in uno dei passi più avvincenti e rivelatori dello spettacolo. La domestica esce dal suo ruolo, imponendo le proprie idee e decantando una poesia, unico momento pseudoculturale della loro esistenza. Anche il pompiere è reso schiavo dal suo lavoro, vede ovunque focolai da estinguere o almeno la possibilità che se ne possano creare e di conseguenza spengere.

La cantatrice calva

In uno dei frequenti insulsi racconti del testo, i coniugi Smith parlano di Bobby Watson, che ha una moglie che si chiama Bobby Watson, un figlio che si chiama Bobby Watson etc, gli individui non hanno identità né spessore, ma l’ilarità e i doppi sensi che si vengono a creare indorano il boccone amaro, anzi lo rendono solo subliminale. Gli stessi personaggi sono a tratti scontrosi a tratti smielati l’uno nei confronti dell’altro senza apparente motivo, l’uomo è una bandiera al vento. Nel crescendo della discussione, i personaggi urlano, gli uni nelle orecchie degli altri e al pubblico, frasi scollegate che fanno emergere la loro rabbia repressa e terminano con ripetizioni di “non è di qua ma è di là”, l’uomo sembra non indovinare mai la strada giusta. Tutti questi messaggi sono nascosti in un’apparente commedia che diverte, stupisce, disorienta e fa pensare ma solo a luci spente, soltanto se si cerca di interpretarne il senso rovistando in un mare di assurdità. Il finale, con i coniugi Martin che ripetono l’esatta scena iniziale degli Smith, lascia un riso amaro, ulteriore fendente all’identità dell’uomo.

Ovviamente non è facile rappresentare una piece simile senza seguire pedissequamente i dettami del testo, e proprio questo è stato fatto. I costumi e la messinscena classica riportano subito alla casetta british nei dintorni di Londra degli Smith, e il modo di recitare, sebbene talvolta un po’ urlato specialmente nel signor Smith, fa riemergere dal testo le sue molte parti comiche. I ruoli, sempre in bilico tra l’essere troppo grotteschi o troppo neutrali e grigi, non sono per niente facili: in questo spettacolo si è stati un po’ troppo grotteschi e sparati, talvolta troppo “teatrali”. Il pubblico di Modena, da sempre avvezzo al Teatro dell’Assurdo e a quello contemporaneo, non poteva non gradire con lunghi applausi finali.

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