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Intervista ad un randaglio metafisico alias Sebastiano Gavasso

Sebastiano Gavasso si è diplomato attore e aiuto regista a Roma nel 2009 presso la scuola internazionale del “Circo a Vapore”. Nel 2007 interrompe  la scuola per andare in Australia per dieci mesi. Si stabilisce a Perth per studiare presso il  Perth Actor Collective e l’ActorNow Acting Class. Ha lavorato con le compagnie Teatro Instabile di Aosta, Dinamo teatro, A Bocca Aperta, Alphadrama, Work Art Society e Moxy Collective 8Australia, nel 2012 con Cattive Compagnie vince il Fringe Festival e vola a New York. Ha appena terminato le repliche di “Arancia Meccanica” al teatro Eliseo di Roma, a breve sarà in scena a Milano con un testo su Pantani e al cinema con “Zeta”…

É un venedì pomeriggio, Roma è come sempre immersa in quella sua strana frenesia tra traffico nervoso e caldo soffocante, soffia un insolito vento caldo. Incontro Sebastiano Gavasso a Piazza Esedra e nel suo pulmino giramondo mi appresto a fargli qualche domanda.Mi fermo a guardare un modellino di un furgoncino dei carabinieri che staziona sul volante, davanti a me c’è un cavalluccio a dondolo, qualche supereroe mi fissa minaccioso e tante spillette sparse sui sedili che ricordano di spettacoli passati e di viaggi fatti. E così ancora prima di cominciare capisco che questo pulmino è la “casa” dell’attore romano.

Padre veneto e madre greco-romana, laureato in filosofia con una tesi che sembra il titolo di una pièce teatrale “Randagio metafisico: la ripresa del lirismo antico in Emil Cioran”, mille lavori all’attivo e la passione (tarda) per il teatro.

Già ai tempi del liceo avevo cominciato con laboratori, ma tutto risale all’università. Diciamo che il percorso arriva un po’ tardi perchè si mescola con varie esperienze. Avevo accompagnato, come raccontano le migliori leggende, un mio amico del Dums che faceva l’aiuto regia per Michele Diomaiuta che stava organizzando “Il gioco delle parti” di Pirandello. Sono rimasto alle prove, quel giorno stesso un attore lascia, delirio nella compagnia, allora mi propongo, dicendo che se le battute non sono tante  e l’impegno non  è gravoso.. il gruppo si riduce rapidamente e mi ritrovo a fare la parte del protagonista, Leone Gala. Quando lo mettiamo in scena, accanto alla sala a Garbatella, c’era un regista che stava mettendo in scena una novella di Poe, mi viene a vedere, mi sceglie per il ruolo e da lì comincia tutto.

Poi metto in stand bay il teatro, volevo andare ad aprire un campeggio ad Ibiza, poi opto per partire per l’Africa. L’ultima settimana accompagno Dieno (Migeni, Cattive Compagnie),  al provino della scuola Circo a vapore. Mentre stavano facendo i provini, una delle insegnanti mi propone di fare la settimana di prova, accetto e non parto più. E il primo anno passa così. Poi la mia ex ragazza mi chiede di andare in Australia con lei perchè aveva vinto una borsa di studio. E da lì inizia un altro percorso lavorativo…

In questi dieci anni hai raggiunto un obiettivo: come si concilia con la tua dichiarazione che vorresti andare su un’isola greca e spignattare dalla mattina alla sera? Anche se è vero che dopo aver detto all’inizio di quest’intervista che dopo la laurea volevi andare ad aprire un camping ad Ibizia non ci si dovrebbe meravigliare…

Sicuramente l’incontro con Luciano Melchionna e lo spettacolo “Dignità autonome di prostituzione” (★★★★★ leggi la recensione) mi ha aperto la via. É un misto tra l’attesa ed l’essermi trovato al punto giusto e al momento giusto. Sono riuscito a farmi vedere, poi c’è stato il cambio di agenzia. Ma in fondo anche lui (Luciano Melchionna) mi aveva visto in “Horse head”. Diciamo che  lo rimando a tempo indeterminato questo progetto, per il momento ogni estate vado ad Itaca, dormendo sulle spiegge, facendo il giro su un kayak. Il mare ci deve essere sempre, perchè i miei genitori mi hanno portato sin dall’infanzia a fare campeggio nautico e quando c’è il mare non ti serve nulla ed hai tutto.

Dovendo scegliere i tuoi testi teatrali e non, del cuore…

Sicuramente il “Caligola” di Camus, è un testo che ha dentro tutto: storia, filosofia… fare un classico è complesso…”Carnage”, Shakespeare tutto. Spaziando verso il cinema direi sicuramente “Mediterraneo”, “C’era una volta in America”, “Malcom mix”, “Non ci resta che piangere”, “Into the wild”, ma in assoluto  “Mediterraneo” e “Arancia Meccanica”. Recitare in “Arancia Meccanica” (★★ leggi la recensione)  è stato un sogno che si realizza, alle medie mi vestivo da drugo  e quando mi hanno preso ho fatto un urlo telefonico di gioia che pensavo mi avesse bruciato ogni possibilità. E invece no.

Visto il tuo interesse per il cibo, hai mai pensato di mettere in scena un testo in cui vi sia una commistione tra teatro e cibo?

In passato ho fatto teatro per  appartamenti e alla fine della serata c’era sempre il momento gastronomico, in questo periodo ho buttato giù l’idea per un commedia “Sushettibili”, idea  poi sviluppata e  scritta da Daniela Ariano. Un’amara riflessione su tre personaggi, incentrata sulla cultura giapponese, sempre per il teatro da appartamenti. Il sushi racchiude storia, filosofia, vita. E ovviamente il tutto si conclude con una cena giaponese. La passione per la cucina e l’arte vanno  sempre di pari passo.. il mio sogno è fare uno spettacolo sui gestori di pescheria, in modo tale che al termine dello spettacolo  ci sia tutto il pesce possibile e immaginabile. Quindi al di là del Caligola, questo è il secondo. (Lo dice sorridendo)

Il 5 giugno sarai al Circolo Arci di Milano con il testo “D5, Pantani”, un testo di Chiara Spoletini su Marco Pantani, sicuramente una scelta anticonformista…

L’interesse per Pantani è nato per caso, ma “studiando” più mi avvicinavo a lui, più ne riuscivo a cogliere la sua complessa natura di eroe tragico. Lo spettacolo nasce dalla voglia di restituire a Marco Pantani la sua dignità di essere umano e di sportivo.

Pensandoci un attimo, qual è il punto di inizio di questo ‘tutto’?

Il punto di inizio di tutto è sicuramente “Horse Head”. Era l’eredità dell’esperienza australiana, il risultato di una grande  connessione umana, dell’incontro di tre giovani ragazzi (Gavasso, Migeni, Buttaroni) che volevano fare una cosa “a modo loro”,  piuttosto che stare a sentire come si fa, non  significa che quello che ci dicessero non fosse giusto semplicemente ad un certo punto il momento in cui diventa adulto è quando “uccide il prorpio padre”.. Dite che il testo e la regia non funzionano? Noi lo facciamo come vogliamo noi. E questo rivendicare il progetto come lo avevamo pensato noi ci ha dato quella marcia in più.

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