A quindici anni dalla scomparsa di Alda Merini, il 25 novembre sarà lanciato alla Casa Museo di Milano Rosso Merini, il rossetto a lei ispirato, per la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne.
È l’evento conclusivo del Festival a Casa di Alda, organizzato dalla rete Piccola Ape Furibonda di cui il CETEC è capofila, per tenere viva la memoria della scrittrice: una kermesse di incontri, dibattiti, proiezioni e performance animati, per tutto il mese, in giro per la città.
Il rossetto è il dono di Cosnova Italia per Catrice, all’insegna della “democratizzazione della bellezza & inclusività”, per l’empowerment femminile. L’azienda promuove inoltre sul territorio attività di prevenzione della violenza di genere, come il Centro d’Ascolto per donne maltrattate Petalo Bianco (in collaborazione con Farex Bene, Municipio 6).
L’idea è nata dalla direttrice artistica della Casa Museo, Donatella Massimilla: “Il rossetto vuole essere un monito di trasformazione, attraverso un atto di bellezza, ma anche di resistenza e coraggio. E’ rivolto a donne di tutte le generazioni che, in un momento della loro esistenza, possono vivere una storia di violenza. I primi mille rossetti, in edizione limitata, saranno donati alle donne del territorio e alle detenute del Carcere di San Vittore, in cui siamo attivi con il CETEC”.

Il packaging è invitante: una scatolina rossa con il logo filiforme di Gabriele Moschin e Andrea Filippi: Casa di Alda Merini e l’aforisma Non sono una donna addomesticabile. “E’ un logo itinerante che potrà andare in giro per il mondo con le nostre performance”, dice la Massimilla.
Quella della Merini è una figura poliedrica, un vero e proprio crossover, capace di ispirare oltre alla poesia, la musica (pensiamo a Giovanni Nuti e alle canzoni per Milva), le arti visive (gli illustratori Alessia Carli e Alberto Casiraghy, i fotografi Moschin e Harari), il teatro (celebre il monologo di Licia Maglietta), la danza. Attraversa più generazioni, attirando oggi anche i più giovani e abbraccia diversi ambiti: da quello culturale alle scienze sociali (per la sua tormentata biografia), fino alla moda (i foulard di Linda Grittini e i costumi di Anna Carla Enrico del NABA).
Non ultimo il CETEC (Centro Europeo Teatro e Carcere Dentro/Fuori San Vittore) le ha consacrato Alda Parole al vento (2023), presentato recentemente al Cimitero Monumentale, dove riposa la poeta milanese accanto ai grandi di Milano.
Casa Museo Alda Merini ©
Storici sono gli scatti di Giuliano Grittini, rubati in anni di frequentazione con la scrittrice: in foggia quotidiana o agghindata con malizia in déshabillé, ritraggono una donna vera, colta nella sua semplicità e naturalezza. Ne vediamo le gigantografie sulle pareti della Casa Museo.
Le facciate esterne sono tappezzate dai murales in cui l’ha ritratta Cristina Donati Meyer, con Frida Kahlo, Franca Rame, Michela Murgia, altre icone del femminile. Qua vicino le è stato dedicato anche un ponte: il Ponte Alda Merini, il ponte della poesia.
Sappiamo che fra i nodi tematici della scrittura della poeta dei Navigli ci sono la passione, l’abuso e l’internamento, con la separazione coatta dalle figlie. E ancora la parola incarnata, il vitalismo e il fervore religioso, la follia e l’indagine dei recessi dell’anima, senza rinunciare ad un’ostinata ricerca della felicità.
Abbiamo visitato per l’occasione la Casa Museo ricavata nell’ex Tabaccheria di Via Magolfa 30, dove lei comprava le sigarette, mescolandoci ai tanti ospiti, venuti anche dal quartiere. In molti infatti conoscevano Alda e sono depositari non di rado di suoi versi inediti, in forma aforistica o poetica. Lei scriveva per tutti. Parlava e dettava, spesso con fare imperioso. La composizione era una forma attiva e non derogabile di pensiero.
Alda Merini l’intellettuale. Alda, la pazza della porta accanto.
Si viene accolti nel cortile dall’imponente maschera grottesca, donata dal Carnevale di Viareggio, impreziosita da un cappello in feltro e orecchini a fiori rossi. Da qui si entra nel Bar Charlie, a lei caro, con il Caffè letterario.
Al piano superiore c’è la Stanza di Alda, ricostruita con i mobili donati dalle figlie, in apparente disordine: il letto con i vestiti sparsi colorati, comò e comodini, la macchina per scrivere, il pianoforte a cui spesso sedeva. La Merini era anche musicista. E ancora, gioielli e mozziconi di sigarette: le imprescindibili Diana blu. Ovunque si respira aria della sua vita. Un’installazione sonora permette di ascoltarne la voce.
Sulle pareti sono posati pezzi d’intonaco staccati dall’abitazione originaria di Ripa Ticinese 47, (acquistati dal Comune di Milano per cinquantamila euro) con gli schizzi e le scritte autografe appuntate a penna o con il rossetto. Usava il muro di casa come taccuino. L’aveva ribattezzato il muro degli angeli.
Abbiamo rivolto alcune domande a Donatella Massimilla, regista, drammaturga e direttrice dello Spazio, che con il CETEC, ha dedicato alla Merini due spettacoli: oltre a Alda. Parole al Vento, Auguro a tutti un briciolo di follia, che prende il titolo da un aforisma di Alda Merini (per Milano Mental Helth – 2024).
D: Dopo il rossetto ci saranno altri sviluppi?
R: Abbiamo iniziato con il rossetto, ma vorremmo proseguire, con l’idea di trovare un brand per Casa Merini. Ci piace Cosnova, perché è un’azienda cruelty free. Inoltre è democratica e popolare. Potremmo pensare a una linea di smalti in futuro.
D: La vostra proposta va anche nella direzione di riconoscere Alda Merini come icona del femminile, idea già suggerita dall’opera di Giuliano Grittini. Come vi sembra quest’idea?
R: La Merini è stata celebrata da lui come da altri fotografi, Guido Harari, Claudio Moschin, ma indubbiamente lui ne ha il primato: il suo sguardo e la complicità che c’era fra di loro è particolare, per la loro lunga amicizia. Grittini l’ha unita alle sue passioni, come Andy Warhol e la Cracker Art.
D: Che cosa interessa ai giovani di Alda Merini?
R: Lo chiedo spesso ai ragazzi, quando vengono a trovarci: la sua capacità di essere trasgressiva, forse. Lei è un esempio reale contro il body-shaming. Stiamo cercando di lavorare a livello intergenerazionale. Alda è destinata a diventare un’icona, come Frida Kahlo.
D: Tu hai alle spalle un lavoro di trent’anni nelle strutture carcerarie e con donne con disagio psichico. Come parla la parola di Alda Merini a chi vive una realtà di isolamento?
R: Viene spontaneo rispecchiarsi in lei, come in Frida. Con un amico artista ho preso le parole dei suoi testi, per farne un nuovo Vocabolario che ho portato alle ragazze di San Vittore. Ho chiesto loro di scegliere quelle che più potessero rappresentarle e di raccontare così la propria storia. Da qui è nato “Alda. Parole al vento”. Le voci sono state registrate, per diventare il tappeto sonoro dello spettacolo ascoltato all’ingresso del Teatro Studio Melato.
D: Alda Merini, con la sua biografia e la sua vicenda letteraria sembra incarnare la potenza generativa del femminile. È questo che spaventava i suoi contemporanei?
R: Secondo me sì, e poi anche il fatto che lei era una persona molto libera. Credo che la libertà contraddistingua questa sua forza che allontana gli altri, perché è sempre difficile essere persone libere.
D: Come si gestisce un’eredità così importante, come quella della Casa Museo Alda Merini?
R: Con le persone che le sono state vicine in vita c’è uno scambio continuo, per il desiderio di condividere. Il mio sogno è quello di creare una Fondazione al femminile, con una decina di donne: artiste, avvocate, operatrici del disagio psichiatrico, donne che abbiano una visione.