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Alla ricerca dell’(im)possibile

Sono tornati dalla Norvegia sul palco di Fabbrica Europa gli Zero Visibility Corp presentando, in prima nazionale, (im)possible coprodotto dalla Fondazione Pontedera Teatro.

In questa nuova creazione Zero Visibility Corp e la coreografa norvegese Ina Christel Johannessen rivisitano l’eterno conflitto e il paradosso connessi alla creazione di relazioni vere e sincere. Pur rimandando a lavori precedenti come It’s only a rehearsal (2003) e (but) that night I found her very alluring (2006), (im)possible è uno spettacolo imperniato sulla volontà di creare una presenza fisica e mentale che includa l’Altro, associando il duetto come forma coreografica e la seduzione come strategia artistica.

La bellezza e la sensualità dei movimenti, la musica e la scenografia sono concepiti per attrarre più che per rappresentare. Si finisce per essere trascinati dentro lo spettacolo dal gioco del possibile e dell’impossibile.

Il linguaggio è diretto, poetico ma anche comico; avanza per flussi di strutture visive più che seguendo una narrazione; evoca un (im)pulso più che una storia.

La vita e l’energia – i danzatori, i corpi viventi, coabitano con un’assenza – la morte, il vuoto, le ceneri, gli involucri vuoti…
L’(im)possibile può trovare un accordo con il paradosso della vita e della morte?
Ottima la coreografia di Ina Christel Johannessen, eccellenti tutti i danzatori della compagnia che portanto in scena la continua difficoltà del rapporto fra uomo e donna: Line Tørmoen, Dimitri Jourde, Sudesh Adhana, Kristina Søetorp, Cecilie Lindeman Steen.
Efficaci le luci che rischiarano tra le pieghe intrinseche di difficili rapporti personali. Innovativa la colonna sonora elettronica che incalza tutti i quadri della performance.

Uno spettacolo di evidente qualità, dove il movimento dei corpi dei danzatori in scena si fonde con la capacità di creare figure elegiache in un interazione tra corpi che pare possibile, solo apparentemente. I corpi si abbracciano, e subito dopo si spingono, si relazionano e poi si picchiano, rappresentando un’incapacità all’unione, tipica della società moderna, fatta di rapporti virtuali possibili e di contatti sempre più impossibili.

Gli applausi del pubblico della Leopolda ci riportano ad un suono ancestrale, prodotto dalla relazione tra le mani, che picchiandosi è ancora possibile.

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