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Don Giovanni inaugura la stagione del Teatro del Giglio

Lucca accoglie calorosamente la sinergia creativa di tre grandi artisti europei

La nuova Stagione lirica del Teatro del Giglio a Lucca si è aperta il 23 ottobre con una premiére d’eccellenza, il Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart, per la regia di Bruno Berger-Gorski, le scene e i costumi di Daniel Dvorak e la direzione di Jari Hämäläinen, nel’allestimento nato dalla collaborazione con i Teatri Donizetti di Bergamo e Coccia di Novara ed il Teatro Nazionale di Brno nella Repubblica Ceca.

Dramma giocoso in due atti su libretto di Lorenzo Da Ponte, il Don Giovanniandò in scena per la prima volta a Praga il 29 ottobre 1787 dopo diversi rinvii avutisi a partire dal 14 ottobre, riscuotendo grande successo. L’anno successivo venne rappresentata a Vienna con numerosi tagli, il principale dei quali fu l’eliminazione del finale del secondo atto, scena d’insieme in cui tutti i personaggi commentano la fine di Don Giovanni e cantano la morale conclusiva in re maggiore. Questa scelta artistica di Mozart fu probabilmente dettata dal voler concludere l’opera nella stessa tonalità (re minore) in cui incomincia l’ouverture, dandole così un aspetto ciclico. Nonostante ciò il Don Giovanni, nella versione viennese, non fu molto apprezzato dal pubblico, a causa della morte del nobile Don Giovanni: tale trama poteva infatti essere presa ad esempio e provocare delle ribellioni del popolo contro altri nobili, ed in questo caso contro l’ imperatore austriaco.

Dal punto di vista formale si tratta di un’opera buffa con la presenza di elementi tratti dall’opera seria, come i pezzi scritti per Donna Anna e Don Ottavio.

La caratterizzazione psicologica dei personaggi è il vero capolavoro di Mozart e Da Ponte: Don Giovanni, pur essendo nobile, vocalmente baritono, veste il ruolo del tipico basso buffo settecentesco, quasi a sottolineare l’immoralità del suo comportamento che, per così dire, lo “abbassa” al livello del popolo. Leporello (anche lui un basso buffo) è invece un personaggio frequentemente in bilico tra l’ironia, l’insolenza e la sottomissione nei confronti del padrone Don Giovanni. Sono presenti figure comiche o dal contorno quasi bucolico (i contadini Masetto e Zerlina) ma c’è tra queste e le figure drammatiche una forte commistione che fa prevalere le seconde, portatrici di forti valori morali ed etici da trasmettere al pubblico. In particolare, in contrasto alle figure semplici ma eticamente forti, all’ascoltatore moderno non può non risultare ridicola l’affettata serietà di Don Ottavio (tenore): mentre Masetto per difendere la sua Zerlina è disposto anche a farsi picchiare da Don Giovanni, travestito in quell’occasione da Leporello, Don Ottavio per la sua Donna Anna non riesce a reagire se non con un timido «un ricorso vo’ far a chi si deve, e in pochi istanti vendicarvi prometto» cosa che in realtà, non farà mai.

Come afferma lo stesso regista Bruno Berger-Gorski «la modernità di Mozart sta nella lucidità con cui definisce i condizionamenti sociali e di classe e nel suo spirito massonico. Anche nel Don Giovanni questa lucidità è all’opera ed è molto rilevante per l’attualità politica di quest’opera (…) Donna Elvira sostiene i progetti autonomi e la libertà della donna, con una visione molto moderna. In lei è anche presente quell’aspetto filantropico della massoneria per cui è necessario adoperarsi per il bene e il progresso dell’umanità (…) Donna Anna al contrario non è libera, è chiusa nel mondo della ricchezza, di un’alta educazione, di rigide convenzioni sociali (…) Don Giovanni è incarnazione perfetta del mondo nobiliare che si appropria con la forza di ciò che desidera.»

Un’opera dunque che guarda alla società ed alla politica, la cui regia interpreta « i personaggi alla luce del periodo storico nel quale l’opera è stata composta, e cioè all’alba della Rivoluzione Francese». Nella villa palladiana il palcoscenico acquista allora il colore della rivoluzione, ovvero il blu, ed è la base su cui tutti si muovono; l’ambiente delle scene si sgretola lentamente, la tavola dei banchetti lascivi di Don Giovanni pende verso il basso nella rovinosa perdita di certezze della nobiltà, mentre anche gli abiti dei personaggi ideati da Daniel Dvorak connotano il destino di ciascuno di essi: severi, raffinati, elegantemente neri quasi a lutto quelli dei nobili; portatori dei colori della bandiera rivoluzionaria (beige, rossi e blu) quelli dei contadini.

Nel cast spiccano Arpine Rahdjian, Donna Elvira passionale e vigorosa, che ha vissuto la sua parte con una sensibilità profonda e Carlo Lepore, Leporello disinvolto nel gioco scenico ed esilarante nella splendida aria “Madamina, il catalogo è questo”; Carlo Colombara si è dimostrata invece sì un ottimo seduttore, come nel caldo duetto “Là ci darem la mano”, ma forse è stato un po’ troppo irruento nei suoi ingressi, all’insegna anche di un clamoroso scambio significativo di nomi nella scena nel cimitero. Un po’ fredda invece Natalia Ushakova nei panni di Donna Anna, anche se gli applausi sono stati calorosi; Francesco Marsiglia è stato un timoroso Don Ottavio, mentre Sandra Pastrana Luciano Leoni si sono rivelati una giovane coppia di sposini dalla voce chiara e pulita. Monumentale e marmoreo infineLuciano Montanaro nella parte del Commendatore, non sempre però molto chiaro.

Ottima l’Orchestra Regionale della Toscana diretta da Jari Hämäläinen, che ha dato alla partitura colori ora briosi ora marcatamente drammatici; bella prova anche per il Coro della Toscana ed il maestro Marco Bargagna.

Molto calorosa l’accoglienza del pubblico.

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