Home Lirica Tre sfumature di grigio su fondo avorio per Roberto Devereux

Tre sfumature di grigio su fondo avorio per Roberto Devereux

A Napoli al Teatro San Carlo, in una sera di mezza estate

Roberto Devereux - © Teatro San Carlo - ph Luciano Romano

In una bollente sera di mezza estate è un gran piacere sedersi nella fresca platea del mio bel San Carlo e godersi l’ultima opera in programma prima della pausa agostana, soprattutto se il melodramma in questione è un poco frequentato capolavoro del belcanto italico dovuto al genio musicale di Gaetano Donizetti e al gran mestiere di Salvatore Cammarano, che magari non sarà stato gran poeta ma era certamente dotato di quella dote che si chiama senso del teatro e che naturalmente riusciva a dar coscienza e fine alle scene, ai dialoghi, ai coup de théâtre che si susseguono con fine perizia.

Appartiene, insieme ad Anna Bolena e Maria Stuarda, al cosiddetto ciclo Tudor o anche ciclo delle regine – trittico non ufficiale e creato a posteriori un po’ artificiosamente accostando opere che il musicista dedicò a figure femminili storiche dell’Inghilterra elisabettiana e tudoriana – Roberto Devereux, dato alle scene nel nostro bel Teatro nell’ottobre di quell’annus horribilis che fu, per l’Autore, quel 1837 in cui rimase senza padre, senza madre, senza moglie, senza figli. Ultimo grande successo “napoletano” del grande compositore, testimonia un linguaggio sempre più tragico e psicologicamente profondo dell’Autore, un po’ sicuramente per le accennate vicende personali e familiari, un po’ perché, dopo il successo universale di Lucia di Lammermoor, messa in scena in questo stesso Teatro di San Carlo due anni prima, sentiva l’esigenza di un maggiore approfondimento drammaturgico e musicale.

La vicenda di Robert Devereux, conte di Essex, favorito della regina Elisabetta I d’Inghilterra, caduto in disgrazia e giustiziato per tradimento nel 1601, gli offrì l’occasione per trasfigurare, meglio che in passato, il dato storico in chiave tragica e profondamente umana, scavando dentro la complessa relazione tra il giovane Devereux e la Regina, ormai anziana, tormentata dalla gelosia, dalla solitudine e dall’amore per un uomo che ama un’altra, Sara, duchessa di Nottingham.

Restano, le vicende elisabettiane del compositore bergamasco, emblematiche di un certo modo d’esser del melodramma italico (e non), così irresistibilmente capace d’assumer forme e sapori diversissimi fra loro pur rimanendo sostanzialmente sempre a se stesso uguale: all’origine, tale metamorfica capacità, d’una polemica che infiammò cronaca e critica del Secolo romantico e che coinvolse perfino personaggi come Mazzini, che noi, passeggeri del secol nostro, immaginiamo diuturnalmente in ben altre faccende affaccendato.

Si chiede, il Padre della Patria, nel 1835 – appena due anni prima del debutto del Devereux – nel pamphlet Filosofia della musica qual sia la diversità tra la musica d’un dramma romano, e quella d’un dramma tratto dalle storie dell’evo medio, tra le melodie d’uomo del paganesimo e quelle che suonano su labbra dei personaggi cristiani: posizioni critiche che alcuni anni dopo sarebbero poi state fissate definitivamente nelle due formule della musica storica e colore locale – investendo perciostesso sia la storia sia la geografia – usate e (ab)usate per decenni.

Roberto Devereux – © Teatro San Carlo – ph Luciano Romano

Nascondevano, quelle locuzioni, la legittima esigenza di superare le assurdità di libretti sciatti e la grossolanità di musica scadente, ma portate alle estreme conseguenze avrebbero potuto generare fraintendimenti non da poco: musica storica e colore locale le ritroviamo senz’altro in opere come Ugonotti e Profeta di Meyerbeer, del tutto assenti – tanto per fare un esempio – nel Fidelio di Beethoven, l’applicazione rigorosa dei concetti mazziniani ci porterebbe quindi ad un totale capovolgimento dei valori, con tutto il rispetto per Meyerbeer.

Parlo di questo argomento in una recensione solo per far notare come le polemiche finiscano per assomigliarsi un po’ tutte, travestendosi e camuffandosi nel corso dei tempi, (ri)trovando molte affinità tra le formule che appassionarono il pubblico allora e quella, parimenti usata ed (ab)usata di rispetto del libretto, intendendo una stretta osservanza, da parte di chi mette in scena oggi l’opera, della storia e della geografia invariabilmente dettata dal testo, il che porterebbe a paradossi simili a quelli descritti. Il che non si traduce, com’è ovvio, in una indecente libertà di far quel che si vuole, da parte di sconsiderati registi ma, invece, cercar di cogliere lo spirito dell’opera – sempre diverso – e riuscire a tradurlo per la sensibilità di chi oggi siede in platea, suscitando la stessa sorpresa, le stesse emozioni, gli stessi pensieri di quasi due secoli fa.

È, in fondo, quel che si cerca di fare con questo allestimento che il San Carlo mette in scena, produzione del nostro Massimo, del Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia e della Dutch National Opera: da quelle parti, nella romantica ma freddolosa Amsterdam, il belcanto non è certo di casa e con Pierre Audi, sovrintendente per un lungo trentennio, fino al 2018, non aveva di sicuro avuto possibilità di esprimersi, a parte Rossini, relegando questo stile così terribilmente mediterraneo e italico nel novero delle buone cose di pessimo gusto – ma dubito che a quelle latitudini conoscano Gozzano – irrimediabilmente, per loro, datate e superficiali.

A maggior ragione bisogna dar atto alla “follia” della sovrintendente Sophie de Lint che ha messo in cantiere, partendo da due stagioni fa, nientemeno che l’intera Trilogia Tudor, partendo da Anna Bolena, passando per Maria Stuarda per arrivare a questo Roberto Devereux, progetto ambizioso e coraggioso: le tre opere hanno un filo conduttore comune, costruite come sono tutte su grandi figure femminili, alle prese con il potere e con l’amore, da cui vengono inevitabilmente e rovinosamente travolte, in una spirale che sa di tragedia più che di dramma borghese, ed è questo, per molti versi, il momento giusto per declinare la storia al femminile, o quantomeno per tentare di farlo, lasciando che la loro sofferenza possa trovare, infine, senso e compiutezza.

Roberto Devereux – © Teatro San Carlo – ph Luciano Romano

E così viene rivestito e rinnovato, il nucleo essenziale della musica donizettiana, con una misura registica sostanzialmente unitaria, che Jetske Mijnssen riesce a intuire sospesa tra equilibrio e spinta all’innovazione, cominciando da Anna Bolena – la cui recensione trovate qui – andata in scena nel 2023, dagli echi ibseniani, in cui il fondo rimaneva inconoscibile e buio, luogo del sussurri della corte e delle taciute grida dei nemici, che talvolta si apriva rivelando tutta la sua intima, inafferrabile essenza, celando coi loro robusti cardini, due enormi e gigantesche porte ai due lati del palcoscenico, il segreto della vita.

L’anno dopo è il turno di Maria Stuarda – recensita qui – tinta di coloriture bergmaniane, di evocazioni e timori, gli stessi pochi protagonisti presenti sulla scena talvolta anche quando non dovrebbero esserci, rispondendo a esigenze dell’animo loro o degli altri personaggi, anche contro ogni logica razionale, in un continuo affastellarsi di pensieri talvolta torbidi e maligni, talaltra morbidi e consolanti, in un’alternanza che ben rendeva la perfetta simmetria, drammaturgica e musicale, tra le due protagoniste.

La soluzione scenica trovata per Roberto Devereux, in essenziale continuità con le precedenti, sempre dovuta alle matite di Ben Baur, si apre tuttavia alla luce un po’ fané di sontuosità fulgide e perdute, le porte, pur sempre tacite, si rivestono stavolta, tuttavia, di laccate patinature, riferimento contemporaneo ad un archetipo regale forse inesistente e vano: tre sfumature di grigio su fondo avorio delineano un’elegante boiserie che situa indubitabilmente l’azione alla metà del secolo scorso.

È una contemporaneità – il cui effetto fatalmente si accentua anche grazie ai costumi dovuti all’estro di Klaus Bruns – che la regista ha voluto anche in considerazione alla modernità della macchina teatrale, da lei definita un thriller d’amore, una partita a quattro tra persone infelici, i protagonisti si danno la caccia per tutta la durata della rappresentazione, si amano e si odiano sopportandosi e detestandosi in un continuo rincorrersi d’emozioni contrastanti.

Ma basta passare al secondo atto per ritornare all’oscura atmosfera dei due episodi precedenti, alle porte altissime che aprono agli assoluti, determinando morte o vita, alle mura buie che si perdono in fumose e gelide lontananze: il potere non cambia mai nella sua intima essenza, sembra voler dici la regista danese, può certamente fingere di aggiornarsi, imbellettandosi d’apparenze glamour, alla fine esige comunque, implacabile ed assoluto, il suo geloso tributo di sangue.

Roberto Devereux – © Teatro San Carlo – ph Luciano Romano

Viene diretta, l’Orchestra del San Carlo, da Riccardo Frizza, che completa così anche lui la sua trilogia Tudor qui in terra partenopea, sapientemente coniugando ricercata analisi critica del corpus donizettiano con una avveduta ansia di rigenerazione, lo sguardo volto in avanti senza compromettere il passato: il Direttore dell’opera di Bergamo tende, in genere, a non dirigere Donizetti fuori dalla città natale del Compositore, l’eccezione trova la sua ragion d’essere nel particolare rapporto che ebbe il musicista lombardo con il San Carlo, di cui fu direttore dal 1822 al 1838, dopo Gioachino Rossini. Avremo comunque modo di riparlare di questo direttore, dal momento che qui a Napoli, nella prossima Stagione, sarà sempre più presente, dirigendo la première con Medea e poi Nabucco, Aida pur se in forma di concerto, l’attesa Partenope di Morricone per concludere col mozartiano Mitridate: un calendario fitto fitto, come si vede, attendendo il nuovo Sovrintendente (e il nuovo Direttore musicale).

In Roberto Devereux il Coro, diretto da Fabrizio Cassi, ha grande spazio, in una funzione corale-narrativa: è specchio della pubblica opinione, elemento scenico di massa, voce della coscienza collettiva: il risultato, ieri sera, è stato di superbo impatto drammatico sul piano strettamente musicale, egregiamente e sapientemente agendo da contrappunto emozionale, poi da espansione della dinamica teatrale, enormemente ampliando la forza drammatica e politica di cui che avviene sulla scena, pur nella deprecabile fissità cui viene condannato da una incomprensibile scelta registica.

In effetti è proprio, più in generale, la direzione degli attori, il vero punto debole di questo allestimento, peraltro apprezzabile sotto diversi punti di vista: non solo il Coro, ma tutti sembrano spesso lasciati soli a se stessi, aggirandosi per il palcoscenico in preda ad una sconcertante fissità o, al contrario, ad una spiritata estroversione del proprio sentire.

Roberta Mantegna dona alla sua Elisabetta la sua voce potente e versatile, dalla grande estensione vocale in uno con la forte presenza scenica che la caratterizza, la notevole capacità di interpretazione di cui è capace le consente di tramettere agevolmente a chi siede in platea coinvolgimento e piena intensità emotiva: è proprio grazie a queste doti non comuni e alla profonda comprensione del personaggio che riesce a superare una qualche esitazione nel rendere la potenza assoluta, a tratti violenta e feroce, della regina.

La grande musicalità e sensibilità interpretativa di Ismael Jordi rendono il suo Devereux elegante e di gran fascino, pur se un tantino distaccato: la voce, dalla tessitura mirabile e dai pianissimi perfetti, sa dar prova di gran padronanza belcantista e potente drammaturgia vocale, con qualche riserva sugli acuti.

Ben conosciamo Annalisa Stroppa, la tecnica raffinata, lo stile, la profondità di cui sempre sa dar prova: era il suo esordio, ieri sera, nei panni di Sara, innamorata di Deveroux e malmaritata col Duca di Nottingham; il risultato non può che confermare le sue doti di gran sapienza interpretativa basata su una linea vocale centrata sull’aderenza sostanziale al personaggio, senza mai ricorrere alla maniera.

E poi c’è, appunto, il Duca di Nottingham che Nicola Alaimo interpreta imponendo, potremmo dire, la sua magnetica presenza scenica, che è fatta di carisma e credibilità drammatica e la voce sua, ampia e maestosa, pastosa, dai colori ricchissimi offrendo una performance intensa, probabilmente la migliore, molto apprezzata dal pubblico, che ha applaudito con forza durante lo spettacolo e alla fine.

Ma lo spettacolo non dev’esser piaciuto a tutti, e così la regista, dopo gli applausi a tutto il cast, si prende una sonora e prolungata dose di buu!, dissenso ampiamente e preventivamente annunciato sui social che viene a punire, forse troppo severamente, una condotta registica certo non esente da difetti e con qualche vistosa ingenuità ma che viene esecrata soprattutto in ossequio a quel solito, fuorviante rispetto del libretto di cui abbiamo detto. E poi la protesta coinvolge, chissà perché, pure il sicuramente incolpevole Maestro Frizza, e qualche buu! se lo prende pure lui, non mi è parso francamente che abbia aggiornato ai ritmi rock la vetusta partitura: che volete, stranezze di una sera di mezza estate!

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Direzione
Solisti
Orchestra
Scenografia
Costumi
Pubblico
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tre-sfumature-di-grigio-su-fondo-avorio-per-roberto-devereuxRoberto Devereux <br>di Gaetano Donizetti <br>Direttore, Riccardo Frizza <br>Regia, Jetske Mijnssen <br>Scene, Ben Baur <br>Costumi, Klaus Bruns <br>Luci, Cor van den Brink <br>Drammaturgia, Luc Joosten <br>Elisabetta, Roberta Mantegna <br>Sara, Annalisa Stroppa <br>Roberto Devereux, Ismael Jordi <br>Il duca di Nottingham, Nicola Alaimo <br>Lord Cecil, Enrico Casari <br>Sir Gualtiero Raleigh, Mariano Buccino <br>Un cavaliere, Giacomo Mercaldo <br>Un familiare di Nottingham, Ciro Giordano Orsini <br>Orchestra e Coro del Teatro di San Carlo <br>Maestro del Coro, Fabrizio Cassi <br>Coproduzione del Teatro di San Carlo, Dutch National Opera, Palau de les Arts Reina Sofia – <br>Valencia <br>Opera in italiano con sovratitoli in italiano e inglese <br>Durata: 2 ore e 40 minuti circa, con intervallo <br>In scena dal 16 al 22 luglio 2025 <br>Napoli, Teatro di San Carlo, 16 luglio 2025

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