Home Lirica L’anodina obliquità delle sliding doors del Tancredi dal doppio finale

L’anodina obliquità delle sliding doors del Tancredi dal doppio finale

Il Tancredi di Rossini al Festival della Valle d’Itria

Tancredi - © Festival della Valle d’Itria - ph Clarissa Rapolla

Viviamo in un’epoca segnata da guerre globali e intime, e l’arte può essere un linguaggio per resistere, comprendere, pacificare: così Silvia Colasanti, nuova direttrice artistica nel comunicato ufficiale in cui illustra il tema principale del 51° Festival della Valle d’Itria che si svolge a Martina Franca dal 18 luglio al 3 agosto 2025. Guerre e pace è il filo conduttore di tutta la programmazione, che affronta il tema non solo in senso storico o bellico, ma soprattutto esistenziale, etico e psicologico, metafora delle tensioni interiori, dei conflitti sociali e del desiderio di riconciliazione.

Così, mentre Owen Wingrave, di Benjamin Britten, in prima italiana, è l’opera più apertamente pacifista del programma – Owen è un giovane che rifiuta la carriera militare, tradizione della sua famiglia, e per questo viene ostracizzato facendo diventare la sua vicenda una condanna del militarismo ereditario e dell’ideologia della guerra – la scelta di L’Enfant et les sortilèges di Maurice Ravel si inserisce come momento poetico e pedagogico di educazione al rispetto. E poi c’è la prima opera seria di Gioachino Rossini, Tancredi, in programma ieri sera qui a Martina Franca nella cornice elegante e sobria del Palazzo Ducale.

Rappresentato per la prima volta il 6 febbraio 1813 al Teatro La Fenice di Venezia, Tancredi segnò un momento fondamentale nella storia dell’opera seria italiana, in particolare per la sua forma innovativa e per la sua scrittura vocale: su libretto di Gaetano Rossi, tratto dalla tragedia Tancrède (1760) di Voltaire, è una delle opere più significative del primo periodo creativo di Gioachino Rossini. E questo perché all’inizio del Secolo romantico l’opera italiana viveva un momento di transizione: la struttura rigida dell’opera seria metastasiana si stava incrinando, mentre si cercavano nuove vie espressive.

Rossini, appena ventenne all’epoca della composizione di Tancredi, era già noto per le sue opere buffe ma con questa partitura si cimentava pienamente nell’opera seria, cercando di riformarla; già la scelta del soggetto è significativa: si ispirano, Rossini e Rossi, a una tragedia classica che pone in tensione onore, amore e destino individuale, una drammaturgia più concentrata, razionale e tragica rispetto al pastiche sentimentale comune all’opera italiana del Settecento. Sviluppa così, il giovane compositore, una perfetta sintesi tra la tradizione metastasiana e una nuova drammaturgia musicale, in cui la partitura mostra già una sorprendente coerenza drammatica e un uso consapevole della forma chiusa, in cui arie, duetti, pezzi d’assieme sono più integrati nell’azione.

Scavano, in tal modo, armonie e melodie un solco profondo tra ciò che è prima e ciò che sarà dopo, le prime sono relativamente semplici ma efficaci, volte a sostenere la chiarezza del fraseggio e l’effetto drammatico, le seconde memorabili e vocalmente elaborate, come dimostra la celebre aria Di tanti palpiti, subito diventata un grande successo popolare (tanto da essere soprannominata l’aria del riso e dei maccheroni per la sua diffusione). Il ruolo di Tancredi, scritto per contralto en travesti (oggi spesso affidato a un mezzosoprano), è fra i più nobili dell’intero repertorio rossiniano, tratteggiato con grande sensibilità, e l’uso della voce è espressivo, soprattutto nei momenti più introspettivi: in particolare l’aria Ah! che scordar non so e il duetto con Amenaide mostrano una scrittura fluida e intensa, che sfrutta la coloratura non solo per virtuosismo, ma anche come espressione emotiva.

Tra l’altro Rossini compose due finali, quello tragico (propriamente voltairiano) e uno lieto, imposto dalle convenzioni italiane e dal pubblico veneziano: il finale tragico, perduto e ritrovato negli anni ’70 del Novecento in una biblioteca, è oggi generalmente preferito per coerenza drammatica e potenza espressiva. Dopo il successo iniziale, Tancredi cadde nell’oblio con l’affermarsi del melodramma romantico, per esser riscoperto nel secolo scorso, soprattutto grazie a interpreti come Marilyn Horne e Teresa Berganza, che hanno rilanciato il ruolo di Tancredi con autorevolezza vocale e presenza scenica.

Tancredi – © Festival della Valle d’Itria – ph Clarissa Rapolla

E sul piano scenico la soluzione – ideata da Andrea Bernard e realizzata dal disegno di Giuseppe Stellato – ci appare da subito densa di significati profondi e attuali: un parco giochi bombardato e diroccato – con la sua giostrina, la sua torre, l’altalena che cade a pezzi – non è solo un fondale più o meno efficace, diventa invece vero e proprio punto di vista da cui osservare la vicenda e da cui, in definitiva, comprenderla e giudicarla.

In particolare si snoda, il racconto, seguendo la peculiare drammaturgia registica che guarda la vicenda con gli occhi di un ragazzino: è attraverso il suo sguardo che si dipanano di fronte a noi gli orrori della guerra, di tutte le guerre, in particolare, sembra suggerire il regista, quelle attuali, di cui è ovviamente, per noi, più viva la memoria e la crudezza. Mitiga cosi la mostruosità del sangue e della morte, il ragazzo – di cui è muto interprete il bravissimo Carlo Buonfrate – attraverso i suoi disegni, i suoi giocattoli, l’utopia dei supereroi e l’illusione dell’amore: perché, come scritto ad un certo punto su un murales appeso alle rovine, i sogni non muoiono mai.

Un’idea d’universale pacifismo che potrebbe anche funzionare se non apparisse, purtroppo, agli occhi di chi siede in platea, troppo scontata ed evanescente, solo irenica evocazione fine a se stessa destinata a nulla cambiare nella coscienza di chi guarda. La scrittura registica appare cosi troppo spesso slegata dal contesto della vicenda rossiniana, solo posticciamente sovrapposta ad essa, sostanzialmente correndo parallela ed estranea, contribuendo purtroppo a complicare una vicenda già di per sé non chiarissima e, da sempre, d’ostica rappresentazione, ottenendo cosi risultati del tutto e diametralmente opposti a quelli attesi.

Perfino la chicca del doppio finale, che dal punto di vista filologico poteva suscitare un qualche interesse, si rivela alla fine un vero e proprio boomerang sul piano più prettamente drammaturgico e teatrale, finendo, quelle sliding doors, per rappresentarne proprio, involontariamente e sottilmente, l’anodina obliquità: e sì che invece, su piano dell’interpretazione musicale, le cose non vanno affatto male: Sesto Quatrini, da chi scrive recentemente ascoltato e recensito qui, in un ottimo allestimento del Roméo et Juliette al Teatro San Carlo, è oggi una delle voci più autorevoli nel campo del belcanto rossiniano, grazie a una solida formazione accademica e un attento approccio filologico insieme a coinvolgente gusto espressivo.

Naturalmente molto conta anche la sua esperienza al Met, al Rossini Opera Festival e allo stesso Festival di Martina Franca, dove è tornato a dirigere dopo sei anni in cui ha ormai messo a punto un repertorio rossiniano vasto e ben articolato tra concerti e produzioni operistiche: tutto questo ha prodotto, ieri sera, un risultato inappuntabile dal punto di vista della direzione, sempre autorevole e attenta, entusiasmante per quanto concerne slancio e tenuta drammatica, alla guida dei giovani talenti dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala.

Tancredi – © Festival della Valle d’Itria – ph Clarissa Rapolla

Il ruolo di Tancredi è stato sostenuto da un giovane mezzosoprano russo, Yulia Vakula, che ha sostituito l’indisposta Anna Goryachova: abbiamo visto in scena un personaggio emblematico del tragico moderno che, diviso tra valori cavallereschi, patriottismo e amore, vive un costante conflitto tra razionalità e sentimento, tra dovere pubblico e verità privata, lasciandoci toccar con mano idealismo (lotta per la patria che l’ha esiliato), orgoglio (non ammette che Amenaide possa averlo tradito), fragilità interiore (il tormento lo consuma, ma non si apre facilmente alla fiducia).

Figura quasi shakespeariana, sospesa tra eroismo e impotenza, le sue arie sono piene di nobile malinconia e introspezione, specialmente Ah! segnar invano io tento e la famosa Di tanti palpiti, in cui l’uso della coloratura qui non è puro sfoggio, ma veicolo di inquietudine: le agilità vocali riflettono il turbamento interiore. La giovane cantante si distingue per un timbro pieno e flessibile, adatto a ruoli sia belcantistici che moderni, il suo debutto in un festival importante come questo la proietta sicuramente nel panorama operistico internazionale.

Francesca Pia Vitale è certamente una delle voci più promettenti del bel canto italiano, grazie a tecnica impeccabile e presenza scenica autentica: sfodera, la sua Amenaide, qui a Martina Franca, voce agile, precisa, dal timbro chiaro, luminoso e leggero. E poi la forte presenza scenica le permette di calarsi con naturalezza in questo ruolo di cui, confesso, mi ha sorpreso la complessità, risultando alla fine molto più sfaccettato delle tipiche eroine passive dell’opera seria: leale, coraggiosa, ma soprattutto dotata di notevole autonomia morale, accetta di rischiare la vita pur di proteggere l’uomo che ama perché la sua forza è interiore, non cerca vendetta, né si piega al ricatto emotivo.

L’interprete ideale, dunque, di Come dolce all’alma mia in cui  rivela delicatezza e intensità affettiva o del recitativo accompagnato Giusto Dio, che umile adoro, uno dei più potenti dell’opera, preghiera tragica d’una intensità che già prelude al Romanticismo.

Molto più convenzionale è il personaggio di Orbazzano, il superbo e vendicativo antagonista, incarnazione della forza cieca del potere militare: Rossini tuttavia lo dipinge con misura, non come tiranno sanguinario, ma uomo accecato dall’ambizione, rendendolo in tal modo credibile, ma meno interessante dal punto di vista psicologico. Qui a Martina ha la voce sonora e piena, tipica di un autentico basso, dal bel colore vocale scuro e vibrante di Adolfo  Corrado: l’ottimo legato e il fraseggio fluido e nitido, in uno con la forte presenza scenica ne disegnano con efficacia tutte le caratteristiche.

Argirio è il tipico padre dilaniato tra amore e dovere che anticipa per tanti versi il padre verdiano, figura del potere che cerca di agire secondo giustizia ma che alla fine resta incatenato alla ragion di stato: ma siamo ancora certamente in ambito rossiniano, ben lo dimostra il suo elegante interprete, Dave Monaco, tipico belcantista dal timbro luminoso e chiaro, anche lui sicuro talento emergente nel panorama musicale italiano. E, alla fine, non sfigurano di certo Giulia Alletto e Hinano Yorimitsu, nei ruoli rispettivamente di Roggiero e d’Isaura, sia per la voce che per l’interpretazione drammaturgica, né il L.A. Chorus, Lucania & Apulia Chorus diretto da Luigi Leo, che offre un’interpretazione dignitosa. Molti gli applausi per tutti alla fine.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Direzione
Solisti
Orchestra
Scenografia
Costumi
Pubblico
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lanodina-obliquita-delle-sliding-doors-del-tancredi-dal-doppio-finaleTancredi <br>di Gioachino Rossini <br>Direttore, Sesto Quatrini <br>Regia, Andrea Bernard <br>Scene, Giuseppe Stellato <br>Costumi, Ilaria Ariemme <br>Light designer, Pasquale Mari <br>Argirio, Dave Monaco <br>Tancredi, Yulia Vakula <br>Orbazzano, Adolfo Corrado <br>Amenaide, Francesca Pia Vitale <br>Isaura, Hinano Yorimitsu <br>Argirio, Dave Monaco <br>Roggiero, Giulia Alletto <br>Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala <br>L.A. Chorus, Lucania & Apulia Chorus diretto da Luigi Leo <br>Festival della Val d’Itria <br>In scena dal 18 luglio al 2 agosto 2025 <br>Durata: 3 ore compreso intervallo <br>Martina Franca, Palazzo Ducale, 26 luglio 2025

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