
“A me incombeva recitare una parte”, afferma il protagonista attraverso una lucida analisi della propria persona. Dietro di esso si nasconde Yukio Mishima, autore giapponese del secolo scorso, che attraverso Confessioni di una maschera, rivela molti dei dubbi esistenziali che lo attanagliano.
Un omosessuale represso, o meglio “invertito”, osserva bramoso i corpi sudati dei soldati, l’insegnante alla lavagna diventa un bellissimo Ercole nudo e il compagno di banco subito trasformato dalla fantasia in un San Sebastiano con lo sguardo al cielo, mentre le frecce lo trafiggono dando all’osservatore un’ebbrezza accecante.
Sarà da questo piacere incontrollabile per le ferite, il sangue, la morte, e dalla citazione di Hirschfeld, secondo cui proprio dall’immagine di San Sebastiano scaturisce un godimento speciale, che gli impulsi degli invertiti vengono legati dallo scrittore, a quelli dei sadici.
Mishima cita infatti, niente di meno che la guardia del corpo di Giovanna D’Arco, Gilles de Rais, assassino seriale francese, ma anche il Marchese De Sade, di cui venne a conoscenza delle opere più tardi. Nel romanzo, la vocazione all’introspezione, la ricerca spasmodica dell’uguaglianza con i compagni, a partire dalla peluria sul corpo all’agognato eccitamento di fronte a una donna, si mescolano con le immagini di torture, le quali evocano un piacere sinistro e indomabile. Il protagonista sogna a occhi aperti di trafiggere il cuore di un ragazzo nudo con una forchetta, per farlo poi a fettine sottili, vede davanti a sé continuamente supplizi, declinandoli in maniera sempre più truce e esaltata.
“Rabbrividivo d’una strana delizia all’idea della mia morte” sostiene, e si tratta dell’attesa di qualcosa che avviene come un incidente fortuito ma altrettanto naturale. Sempre all’interno del romanzo: “Sentivo l’urgenza di cominciare a vivere”. Sono evidenti le pulsioni di vita e morte che si legano nell’indagine continua di una sorta di giustificazione per stare al mondo.
Mishima morirà con il suicidio rituale dei samurai nel 1970, lasciando il biglietto: “La vita umana è breve, ma io vorrei vivere per sempre”.
Lo scrittore è stato definito il “D’Annunzio giapponese”, in realtà ci sono molti fili invisibili che lo legano a un altro italiano di cui ricorrono i quaranta anni dalla morte, è Pier Paolo Pasolini.
Pasolini come Mishima sperimenta i linguaggi dell’arte, dal romanzo alla poesia, al cinema come attore e regista, entrambi partecipano alla vita politica dei rispettivi paesi, tra loro corrono solo pochi anni di differenza. Omosessuali tormentati, uno si sposa per andare incontro ai costumi dell’epoca, l’altro preso da un amore morboso nei confronti della madre: “il tuo amore è la mia schiavitù”.
In quest’ultimo, la vocazione al sadismo di Mishima è una vocazione al martirio, entrambi coltivano il desiderio di sparire, di annientarsi. A legarli ci sono poi gli autori citati, per esempio. Mentre Pier Paolo Pasolini stava preparando il Decameron, un professore universitario, Franco Cagnetta, gli prestò dei libri proprio di Gilles de Rais, Pasolini voleva quasi farci un film, ma poi accantonò l’idea per dedicarsi alla Trilogia. Pochi anni dopo, girò Salò o le 120 giornate di Sodoma, opera tratta dal manoscritto del Marchese De Sade.
Mishima inoltre, è stato intervistato da Alberto Moravia, grande amico di Pasolini, il quale cura la prefazione di Morte di mezza estate e altri racconti.
Uno appassionato di calcio, l’altro di arti maziali; uno che critica ferocemente gli ideali della società borghese e della cultura di massa che omologano tutti, senza che il popolo sia in grado di conservare la propria diversità culturale e morale, l’altro che fonda un’organizzazione paramilitare che consiste in un esercito di giovani volto alla salvaguardia dello spirito tradizionale giapponese e alla critica della subalternità alla potenza americana.
Cito infine, il fascino che il San Sebastiano ha suscitato a entrambi gli autori. Nel romanzo Confessioni di una maschera viene messo al centro della sessualità, Pasolini appassionato d’arte, lo rievoca in più opere, come per esempio nei film Mamma Roma o Teorema.
Se Mishima non è certo il Pasolini giapponese, sicuramente come lui è stato una figura scomoda, vittima di un mondo che non ha saputo capirlo.
sua maschera il suo volto, annientando la sua individualità
Si ci sono piu’ affinita’ tra Mishima e Pasolini che tra Mishima e D ‘Annunzio strano Moravia non l abbia notato prima .
Da giapponese Mishima ha un estetica piu’ elegante e rarefatta e un senso della morte come prerequisito della vita che lo porta all opera piu’ totale e finale e cioe’ il proprio seppuku.