Era il 3 gennaio del 1954, settant’anni fa, quando la cotonatissima Fulvia Colombo, apripista delle signorine buonasera (ma quanto ci mancano?), annunciava la messa in onda della prima trasmissione Rai. Iniziava così la storia della “radiotelevisione italiana” con Arrivi e Partenze, rubrica forse mutuata dal format della settimana INCOM, incentrata su interviste a personaggi italiani e internazionali in arrivo o in partenza nei porti e negli aeroporti, con Armando Pizzo e un giovanissimo Mike Buongiorno. Da lì in poi si sarebbe fatta la nostra storia televisiva: telequiz, intrattenimento, informazione.
Per questo “settantino”, per dirla con Camilleri, altro autore che sul piccolo schermo ha lasciato il segno, la Rai ha deciso di festeggiare con un film tv prodotto con Eliseo Entertainment e Lucana Film Commission, in cui si racconta proprio l’arrivo della Televisione nella vita degli italiani: La luce nella masseria. IL soggetto di Saverio D’Ercole, è stato sviluppato insieme a Roberto Moliterni e Salvatore Basile e dopo il successo della fiction ora arriva in libreria con Mondadori. La storia è semplice e genuina, quella di una famiglia del sud che scopre appunto la televisione, un mezzo che in origine fu veicolo di grande aggregazione sociale. Esplosa sul mercato come “bene di lusso” e solo in un secondo momento divenuta popolarissima, la si guardava nei bar, nei negozi, ma soprattutto ci si affollava nelle case di chi ne possedeva una.
Ancora i nati almeno fino alla generazione millennials hanno avuto quasi tutti a che fare coi racconti di nonni, genitori, parenti e amici che facevano a gara per incastrarsi in sottoscala, androni o nei salotti di qualche conoscente per seguire Canzonissima, Lascia o raddoppia, Carosello e tanti altri. Checché se ne dica, la tv, ha cambiato le cose e la Rai, in questi giorni in cui piacerebbe vederla un po’ più irradiata dal suo storico passato giornalistico, è stata una grande protagonista. Dal punto di vista qualitativo La luce nella masseria è certamente un prodotto che si può felicemente ascrivere fra i migliori sfornati in questi anni, tanto il film quanto il libro, sono specchio reale e quindi racconto genuino di un paese che è cambiato e cambia ancora, un cambiamento in cui la televisione continua a fare la sua parte.

Al centro del racconto la famiglia Rondinone, numeroso e unito gruppo di generazioni contadine che si divide fra la campagna e i sassi di una Matera incantata. Ma come in ogni storia che si rispetti arriva l’incidente, l’imprevisto che rimescola le carte: la malattia di Vincenzo, destinato a raccogliere l’eredità del capostipite Eustachio e che invece trascinerà tutta la compagine famigliare verso il sempre temuto cambiamento. Il passaggio è dolente e difficile, soprattutto per quelle radici contadine che legano, ma forse stringono. Eppure quei nodi intrecciati all’interno della stessa parentela potranno essere sciolti, grazie allo sguardo onirico e futurista del piccolo Pinuccio. Sarà il suo tenero sogno di antennista a ricucire lo strappo dostoevskijano all’interno della famiglia, col filo di una nuova luce unificante.
Il libro edito per Mondadori è scritto a quattro mani da Moliterni e D’Ercole entrambe materani e si snoda fluido attraverso le vicende di tutti i personaggi, fra quali certamente svetta Vincenzo, interpretato in tv da un bravissimo Domenico Diele, che invece è toscano e fa un lavoro a dir poco eccezionale sul dialetto. Su di lui si è scritto molto a sproposito, più sulle vicende private che sui meriti d’artista, su quest’ultimi si concentra piuttosto il mio interesse e personale plauso. Lo stesso per Aurora Ruffino (ma quant’è brava?), il sempre iconico Carlo De Ruggieri e il maestro assoluto Renato Carpentieri, solo per citarne alcuni. La scrittura è leggera, elegante, famigliare come la trasposizione televisiva e restituisce tanto al lettore quanto allo spettatore un narrato diretto e fruibilissimo, con un finale commovente.
In questi giorni gli autori presentano il testo in giro per l’Italia, un’occasione per riscoprire o scoprire questa piccola storia italiana, in cui in fondo ciascuno di noi può sentirsi parte, ritrovandosi magari come Pinuccio, di fronte a uno schermo, per assistere insieme a qualche evento speciale restituito dalla scatola-magica-tv. Certo oggi quelle riunioni allargate si sono in parte perse, ma in qualche occasione sopravvivono, basti pensare ai recentissimi “gruppi d’ascolto” amicali per Sanremo. Allora magari, quell’antica fascinazione oltre la quarta parete vitrea dell’oggetto televisivo, riesce ancora nell’antico incantesimo aggregante. Siamo stati tutti bambini come Pinuccio e rivedersi in qualche modo in lui e nella storia della sua famiglia ricucita, in questi mesi piuttosto di sanguinose separazioni ideologiche, ci riporta forse se non quella “luce”, almeno la speranza di ritrovarla. Non è questo che fa una buona storia?