C’è un’ora e un luogo, nella notte di Tokyo, in cui la città rallenta e le luci al neon si fanno più tenui. Quando la maggior parte delle persone termina la propria giornata, c’è uno chef che invece la comincia, aprendo la sua taverna da mezzanotte alle sette del mattino. È la Midnight Diner, una minuscola tavola calda nel cuore di Shinjuku dove anime diverse si incontrano davanti a un piatto caldo e a un bicchiere di sakè.
Disponibile su Netflix (anche se purtroppo solo le ultime due stagioni, mentre le prime tre, veri gioielli, mancano ancora all’appello), la serie tratta dall’omonimo manga di Yarō Abe e diretta da Joji Matsuoka è un piccolo miracolo di semplicità e cura: ogni episodio ruota attorno a un piatto, che diventa simbolo di memoria, legame e riconciliazione.
È un balsamo per il cuore, un luogo dove le vite ordinarie si raccontano con la stessa attenzione con cui lo chef prepara le sue pietanze. Il cibo, in Midnight Diner, non è mai semplice nutrimento, ma un linguaggio affettivo, un gesto che richiama momenti lontani e persone perdute, e che intreccia le storie dei clienti in una comprensione silenziosa.

La messinscena, interamente ambientata nella taverna (ricostruita con cura in studio per garantire ogni dettaglio dell’intimità e del calore notturno), è un piccolo gioiello di intimità: il bancone a ferro di cavallo, la cucina dello chef sullo sfondo, le luci calde e soffuse che avvolgono i volti. Meravigliosa Omoide, la canzone dolce e malinconica di Tsunekichi Suzuki, scelta come sigla d’apertura, fin dal primo accordo ci trasporta nella realtà giapponese più autentica, lontana dai cliché e vicina alla poesia quotidiana.
Accanto allo chef, enigmatico e quasi paterno, si muove una costellazione di personaggi fissi, come Chu con l’immancabile cappellino e gli altri habitué della locanda, che aggiungono un senso di familiarità a ogni nuova vicenda, come se lo spettatore fosse anch’egli un cliente abituale.
La forza di Midnight Diner sta proprio qui: nel suo essere un rifugio narrativo, un luogo dove la vita quotidiana diventa racconto universale. Non stupisce che abbia avuto remake in Cina e Corea del Sud, confermando il successo di un format capace di toccare corde profonde con la semplicità delle piccole cose.
È una serie da centellinare, come un piatto preparato con cura: ogni episodio lascia un retrogusto di tenerezza e di nostalgia, come un sorriso che resta anche dopo aver spento la luce. Favole della buonanotte per adulti, da gustare lentamente, come un ramen fumante dopo una lunga giornata.