Home Arte A Roma c’è Mirò, l’artista che trasformava i segni in sogni

A Roma c’è Mirò, l’artista che trasformava i segni in sogni

Fino al 23 febbraio oltre 100 opere del surrealista spagnolo esposte al Museo Storico della Fanteria

Le lézard aux plumes d_or 3 di Mirò

“Mirò traccia dei segni e dispone dei colori, invitandoci a completare le sue opere con la nostra immaginazione, a proseguire il sogno a cui lui ha dato inizio”. Suggestivo l’approccio al pittore e scultore spagnolo proposto da Vincenzo Sanfo — co-curatore assieme ad Achille Bonito Oliva e Maïthé Vallès-Bled — nel corso del vernissage della mostra Miró – Il costruttore di sogni.

L’evento, prodotto da Navigare Srl con il patrocinio dell’Ambasciata di Spagna in Italia, dell’Instituto Cervantes di Roma, di Regione Lazio e Città di Roma, ha aperto i battenti il 14 settembre e si potrà visitare fino al 23 febbraio negli spazi del Museo Storico della Fanteria, in piazza Santa Croce in Gerusalemme a Roma.

Deux personnages. Gal Lelong di Mirò
Deux personnages. Gal Lelong di Mirò

La mostra spazia lungo tutto l’orizzonte creativo di Mirò, con oltre cento opere dalle pitture alle sculture e alle ceramiche, dalle litografie ai manifesti, dalle grafiche alle collaborazioni con scrittori e poeti.

Perché Mirò, versatile e collaborativo, si lasciava ispirare dalla realtà, dalla materia ma anche dalle creazioni altrui. Tra le prime opere che si incontrano lungo il percorso espositivo, vi sono infatti le illustrazioni che accompagnano in particolare i versi del poema Parler Seul di Tristan Tzara, poeta rumeno attivo a Parigi e tra i fondatori del dadaismo.

Gal Lelong. PersonnageDansLaNuit di Mirò

La mostra permette inoltre di comprendere anche il percorso psicologico di Mirò, grazie al confronto tra opere come Deux Personnages, i cui colori vividi e la tensione quasi violenta riflettono l’angoscia degli anni ‘30, insanguinati dalla guerra civile spagnola, con opere successive che assumono man mano la vivacità e la gioiosità con cui solitamente lo identifichiamo. Un percorso nel quale Mirò assimila e rielabora elementi dell’impressionismo, del fauve, dell’arte giapponese, lasciandosi ispirare anche dagli incontri con molti suoi contemporanei come Pollock, Ernst, Picasso e Dalì (degli ultimi due sono esposte alcune sculture, assieme a quelle dello stesso Mirò), ma anche i fotografi Man Ray e Cartier Bresson. Fino a sintetizzare il tutto in quell’astrattismo surrealista che diventa la sua firma artistica.

Questo suo equilibrio di forme e colori esce dallo spazio delle tele e trova posto su piatti di ceramica e porcellana, sculture, manifesti pubblicitari divenuti veri e propri oggetti da collezione, acqueforti e litografie, riviste e perfino nelle copertine degli album di due cantanti che lui amava molto, Raimon e Maria del Mar Bonet.

Le Chanteur d’opera

Mirò è uno di quegli artisti che piacciono (quasi) a tutti, dagli esperti ai profani dell’arte, dai grandi ai bambini, ma prenderebbe un grosso abbaglio chi nelle sue linee e nei suoi colori vedesse solo una serie di elementi combinati in modo casuale o assolutamente soggettivo, con il semplice obiettivo di suscitare allegria e buonumore. Ogni sua opera è frutto di un rapporto intimo con la materia e di una minuziosa ricerca di armonia che attribuisce a ciascun segno il suo posto unico, irripetibile e insostituibile nello spazio.

“Se anche una sola forma è fuori posto, la circolazione si interrompe, l’equilibrio è spezzato.” Joan Mirò

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