Chissà cosa avrebbe detto Calvino di questo curioso esperimento teatrale. Lui che in un certo senso aveva “inventato” la multi-traccia letteraria con Se una notte d’inverno un viaggiatore, esasperando il tentativo di un povero lettore di portare a termine dieci incipit di opere fatalmente incomplete. In un certo senso il pluripremiato collettivo di ricerca teatrale Sotterraneo gioca sulla stessa problematica post-moderna: l’incapacità o l’impossibilità di portare a termine, un gioco meta-testuale che avrebbe di certo avvinto anche David Lynch “padre” cinematografico delle trame aperte.
In Overload tuttavia, spettacolo presentato dal gruppo fiorentino allo Short Theatre 2018 il 14 e 15 Settembre allo Studio1 della Pelanda, i “vip” culturali sono piuttosto Foster Wallace e Stephen King, il primo, vero “node” di tutto lo spettacolo, tanto per rimanere in tema. Sì perché il gioco narrativo di Sotterraneo è quello di un ipertesto teatrale, dove mentre Foster Wallace prima e Stephen King poi cercano di portare a termine un lunghissimo discorso, vengono “disturbati” da diverse interruzioni, decisamente “invadenti” è il caso di dire, vista anche la “fisicità” del loro invadere appunto la scena. E dunque mentre crediamo di assistere ad uno spettacolo sulla vita del geniale scrittore americano morto suicida a soli 46 anni, veniamo di continuo assaliti da proposte di nuovi contenuti attivabili dagli stessi spettatori in sala semplicemente alzandosi in piedi.
Nella miglior tradizione della mass-self-communication in buona sintesi Overload, che in inglese si traduce “sovraccarico”, causa primaria della nostra memoria così obliante, come in un racconto proprio di Wallace dal titolo Oblio, (dove il sonno di una moglie è di continuo “disturbato” dal russare del marito), propone al pubblico un Running Plot, costantemente interrotto dalla possibilità di accedere a nuovi Anthology Plot, come in una serie tv perversamente tesa verso l’inconcludenza.

Quanto dura allora la nostra attenzione? Secondo la scienza meno del più formidabile girotondista da boccia: il pesce rosso, che per 9 secondi ricorda la via circolare che ha percorso lungo la sua rotonda casa di vetro, dopodiché dimentica e ricomincia a girare. L’essere umano, pare, da recenti studi, riesca a mantenere il livello di attenzione per 8 secondi e come d’altra parte potrebbe essere altrimenti in un continuo bombardamento mediatico? Viviamo in un’epoca di sovrabbondanza tecnologica, dove le informazioni anche più inutili finiscono per fagocitarsi l’un l’altra in un infinito girotondo non troppo dissimile da quello del nostro amico Carassio Dorato (pesce rosso per i più).
Forse Overload vuole farci intelligentemente riflettere sulla disgrazia o la fortuna di una mente che dimentica in fretta. Uno spettacolo ben studiato, fatto a maniera da chi il teatro sa vivisezionarlo con la minuzia di uno scienziato alla ricerca tormentosa di risposte; movimenti di scena fra i migliori visti negli ultimi anni, precisione e coordinazione da manuale, non solo nella recitazione ma anche nel disegno luci e progetto audio, così come nei curatissimi costumi e negli oggetti di scena, ogni cosa messa al posto giusto insomma. Unica pecca magari l’idea di parlare già ad un pubblico “educato”, pronto a riconoscere citazioni e interventi, nell’economia di uno spettacolo meno emozionale e più riflessivo, laddove invece proprio quel che fa “mass”, rimane tagliato fuori dalla comprensione di certe chicche. Poco importa, c’è anche spazio per il più antico e democratico giudizio demoscopico: il lancio delle verdure agli attori, dopotutto leggenda vuole che perfino la Callas si sia beccata un sedano allo Scala!