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Persi in Der Park straussiano

[rating=3] Un drappo rosso in scena, una musica circense e quattro tavolini in platea. Un’acrobata caduta viene aiutata da un misterioso passante. Un parco cittadino abbracciato dall’oscurità notturna, forse è Tiergarten oppure Central park.

Tra i rami compaiono Oberon e Titania, il re e la regina delle fate, i due hanno una missione: riportare il desiderio amoroso tra gli umani che oramai “chiamano piacere un pasticcio”. Titania vorrebbe tornare a casa, ma Oberon le ricorda che solo “quando gli occhi si apriranno e quando la loro voglia sarà liberata,noi saremo liberati da questi corpi”. L’azione si sposta nuovamente e dal parco ci si trova prima in un salotto borghese e poi in un bar:si presentano al pubblico Georg, Helen e Wolf. A completare il quadro arriverà poi la moglie di Wolf, Helma e allora le due coppie saranno complete.

Wolf desidera la promessa sposa dell’amico e allora chiede all’artista Cyprian, novello Puck, di vendergli una delle sue statuette-amuleti. E così il dono ingannatore di Wolf per Helen è una lasciva Titania. Intanto la regina stessa delle fate viene imprigionata da un amuleto dell’artista e si trasforma in una dama antica, che muta vaga per la città.

DER PARK

Nel suo vagare incontra nel parco un gruppo di giovani punk che la deridono. Il secondo atto si apre sul quieto balcone della casa di Georg e Helen, immersa in un labirinto di alberi. Ed è lì che Georg scopre con orrore che sua moglie è una razzista convinta. Forse è questo a destabilizzarlo insieme alla passione improvvisa per Helma. Quest’ultima, infatti stanca dei tradimenti del marito, ha deciso di ricorrere anche lei a Cyprian e ai suoi amuleti. Diventando così una donna seducente desiderabile. Sia Wolf che Georg la desiderano intensamente nella calda notte di San Giovanni mentre lei, seminuda, in balcone finge di guardare stancamente il cielo. I due amici quasi folli si perdono in un labirinto di alberi e cespugli. E mentre i due si aggirano nei meandri di un labirinto che forse è quello della loro mente, Titania, nuova Pasife, invaghitasi di un toro chiede all’artista di forgiarle una macchina per sedurre il toro.

Oberon non può tollerare oltre, rimprovera aspramente l’artista e gli toglie definitivamente il suo influsso. “Da te ritiro ogni mio influsso, lascio il Mio posto e mi mischio a questo triste divenire e sciolgo la materia mia nel divenire degli esseri umani.” Tutta l’azione gravita intorno a questo parco solitario e spoglio che poco ha del bosco del “Sogno di una notte di mezza estate” di Shakespeare.

In Der Park tutti passano e si perdono, mostrando i loro istinti più meschini e gli stessi Oberon e Titania sono divinità decadute che lottano per salvare un’umanità alla deriva che ha dimenticato l’essenziale, per rincorrere il superfluo che la società dei consumi gli propina. Quindi se anche gli dei ne vengono fagocitati, non resta che l’uomo per aiutare il suo simile. E ad una realtà destrutturata, Strauss fa corrispondere un testo frammentario.

La ferma regia di Peter Stein rincontra dopo trent’anni il testo rinnovato di Strauss e cerca di seguirlo docilmente. Impeccabile la direzione degli attori bravi ed affiatati. Affascinante e molto convincente Titania-Maddalena Crippa; ma bravi anche Helen-Lanciotti, Georg-Piazza, Helma-Pernarello,Wolf –Fogacci e Cyprian-Avogadro.

Ma qualcosa non funziona. Il testo è strabordante e ridondante, anche a causa della sua voluta alternanza tra parlato normale e linguaggio poetico; le trentasei scene costruite con cambi a vista appesantiscono la visione. Alcuni riferimenti appaiono datati come i punk di Berlino e l’amor patrio riscoperto improvvisamente da Wolf.

Qualche taglio, soprattutto nella parte finale, forse non avrebbe tolto nulla al testo, anzi l’avrebbe reso più fruibile per un pubblico che sull’ultimo monologo finale chiedeva sottovoce, quasi vergognandosi: “E c’era bisogno di scomodare Shakespeare?

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