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Oscar De Summa e l’inverno del nostro scontento

In prima nazionale al Teatro Cantiere Florida di Firenze, fino a sabato 6 novembre sarà possibile immergersi nel nuovo spettacolo diretto e ideato da Oscar De Summa, tratto dal Riccardo III di Shakespeare. Un bagno di sangue e un'alta prova d'attore.

Iniziando dalla fine, Riccardo III e le Regine è una macchina che decelera, invece di accelerare davanti a un semaforo verde: in un finale smorzato, stranamente lontano dal crescendo emotivo indispensabile per arrivare a conclusioni inaspettate, urgenti e aperte alle possibilità interpretative.

Ultima fatica di Oscar De Summa, attore e regista caro a chiunque desideri un teatro di parola che non sia solo snocciolare battute sul palco, ma un momento di intimità col testo e la scena, questo Riccardo III in chiave pop svela qualche ruga. Per essere uno spettacolo corale (cinque i personaggi), pare sbilanciato, nel senso che poggia il peso sulla gigantesca bravura di De Summa – che anche stavolta modula in maniera impeccabile voce e corpo. Con registri satirici e tragicomici, imponenti e sottili, microscopici ed esponenziali; costruendo un personaggio argilloso e metallico, scavando dentro le faglie del pensiero e di un DNA cannibale. Un assassino, Riccardo, manipolatore eccellente che rende trasparenti le putride acque delle azioni, unendo la deformità fisica a una dialettica velenosa.

Riccardo III e le RegineLe regine, interpretate da Silvia Gallerano, Isabella Carloni, Marina Occhionero, abbigliate in un azzeccato stile steampunk, sembrano non profittare a pieno delle naturali insenature che la trama offre, senza tuffarsi a fondo nella metamorfosi e nel cortocircuito psicologico descritto da Shakespeare, che avrebbe dato ai personaggi più ampio respiro. Risulta fuori dal disegno la scena in cui Lady Anna apre una cassetta con siringa, cucchiaio, roba bianca, e calma il suo tormento pungendosi la vena. Un’immagine evocativa, ma apparentemente scollata dalla narrazione globale, quest’ultima contaminata, sì, da venature contemporanee, ma con toni più edulcorati.

Tuttavia la storia si srotola e le regine crollano come foglie secche nella trappola folle e omicida, concedendosi al mostro – perché, da copione, i vincitori abitano in cima alla scala sociale. Proprio dalla punta Riccardo III cade, in preda alle allucinazioni e ai fantasmi della memoria – qui solamente abbozzati in un finale sbrigativo.

La sorpresa è Marco Manfredi, che si alterna tra consolle, da cui gestisce direttamente il suono, e recitazione, diventando Duca di Buckingam, complice semiserio, in un doppio gioco di cui ha saputo restituire la giusta ambiguità.

Ma aldilà delle incertezze (dovute anche a tempi di produzione molto stretti e incalzanti), musica, luci, canto, scenografia (con il solo trono e un telo chiaro che prende vita) sprigionano l’atmosfera tesa, atemporale, stridente di cui si ha bisogno per ricreare degnamente un’opera di Shakespeare; senza fronzoli, orpelli, senza scivolare nella rappresentazione più veristica, ma abbagliante di seduzione, disprezzo, disperazione. Per uno spettacolo dove si può anche non capire, ma percepire il male, farsi affascinare da esso, come una spilla infetta.

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