
[rating=5] 21 luglio. Nell’enorme cortile de La Fortezza – carcere a vita e a tempo, dove da ventisette anni il regista Armando Punzo lavora con i detenuti – alle 15:30 inizia Shakespeare know well. Lo spettacolo assale come il suono di un esercito lontano; con l’andatura di un gigante che sanguina e strascica. Quadro in movimento che perde le sue particelle anatomiche e le riacquista lentamente, non c’è niente di banale in questa parte di mondo teatrale: in nessun oggetto sparpagliato sulla scenografia mastodontica, in nessun ghigno degli attori, in nessun rumore registrato.
I gesti nascono, muoiono, tornano a vivere nei nuovi personaggi che entrano lateralmente, o in un pianto artificiale, o nell’eterno ripetersi del gioco dei ruoli. Nulla è reale qui, tranne il male.
Ci sono pugnali nei sorrisi degli uomini.
Io sono incolpevole.
Bisogna superare se stesso.
Sei fedele? Giuralo.
Così parlò Shakespeare. Mentre una Tempesta sconvolge l’ordine delle cose; Desdemona e Otello sono in preda al terrore; Lady Macbeth siede muta, impaziente; due donne, con abiti moderni, si disperano. Uomini muscolosi e tatuati, schiere di servi e guardie, parlano di antiche battaglie, pianeti d’argilla e gelosie. Senza dare spiegazioni, i personaggi si sentono inadeguati e stretti nel loro destino, distrutti dal desiderio di nascondersi, strappare le pagine di libri immacolati.
Una sporcizia stilistica rende l’energia scenica incatenata, pronta a liberarsi nel suono di un bicchiere di cristallo pieno d’acqua, suonato dal pianista vestito di bianco. La musica che si ripete come un mantra stravolge lo spettatore, così come la voce incadenscente di Punzo, i volti stupiti e talvolta commossi degli attori-detenuti, il vento reale che arriva a scuotere il fazzoletto di Desdemona.
Le parole di Shakespeare sono una condanna e un balsamo, un antidoto alla reclusione nella propria prigione mentale. Per questo momento di fratellanza e di teatro, grazie alla Compagnia della Fortezza. Anche per la rabbia, lo stupore, l’emotività ad alto voltaggio.