Correva l’anno 1930, lo scrittore inglese Christopher Isherwood, è in pianta stabile in una Berlino ancora “pre-nazista” e liberissima. Proprio qui, nasce il romanzo “Goodbye to Berlin“, racconto corale, in parte autobiografico, sullo sfondo di una pulsante Repubblica di Weimar. Da quell’appassionato affresco, traboccante di champagne e spettacoli fuori da ogni morale, sarebbe nato un musical per mano di Joe Masteroff e poi anche un film di successo: Cabaret.
Nella pellicola a vestire i panni di Sally Bowles, artista del club, una fantastica Liza Minelli, di cui raccoglie l’eredità Diana del Bufalo, la quale assieme a un cast eccellente, riporta in scena quello spezzone di vita berlinese al Teatro Brancaccio di Roma.
La storia di Cabaret è per l’appunto quella di uno scrittore forestiero squattrinato che scopre la vita notturna, tutt’altro che bacchettona, di una Berlino che solo una manciata d’anni più tardi, sarebbe divenuta ferocissima avversaria proprio delle libertà individuali. Siamo nella vivida e agitatissima Repubblica di Weimar, che sembrava dovesse preludere a una specie di rinascimento anche sessuale e che invece si vestirà da terrificante scenario di guerra. Ma prima delle bombe saranno i lustrini a farla da padrone, soprattutto al Kit-Kat-Club, dove il maestro di cerimonie Emcee, dirige e sfama i vizi di giovani avventori.
A interpretarlo il trasformista per eccellenza Arturo Brachetti, vera calamita attenzionale di uno spettacolo di cui si fa vero e forse unico mattatore. Il suo personaggio è in buona sintesi il musical, che sì è corale, come da copione, ma in realtà con lui alla guida è inevitabilmente accentrato sulle sue strabilianti performance.
Lo conoscevamo meno come cantante e attore, ma questo nuovo duplice ruolo gli calza a pennello e di fatto non si fa che aspettare una sua entrata. In Cabaret è pura magia da palco, accentratore d’occhi e orecchie, divertente, toccante e intenso anche nella suggestiva scena finale, insomma un riconfermato e innegabile campione d’applausi.

Ma non è il solo a meritarsi una batteria di palmi, arriva infatti anche la garanzia Christine Grimandi nei panni di Fraulein Schneider, che ci regala un’interpretazione fantastica, meravigliosamente in armonia con quella di un’altra gemma della recitazione: Fabio Bussotti, nei panni del docile negoziante Herr Shultz, improvvisamente travolto dall’antisemitismo di una città in cui è nato e che adesso non lo riconosce più come figlio.
Altra bella coppia quella dei giovani Clifford e Sally, che cercano di inventarsi un amore tenero e impossibile, interpretati dal bravissimo Cristian Catto e appunto da Diana Del Bufalo. Suo il personaggio più iconico dopo Emcee, ci mette dentro tutta la sua dolce ironia e da spessore alla vanesia Sally, anche grazie a una strepitosa estensione vocale, che pareggia la scioltezza a volte mancata nel ballo. Una grande interpretazione per l’amatissima attrice televisiva, che sbarca a teatro e a braccetto con l’azzeccatissimo Catto, si merita doverose incensature.
Ottima interpretazione in ultimo anche per Niccolò Minonzio nei panni di Ernst Ludwig, il personaggio che in fondo fa da perno al cambiamento, dall’epoca dei party spensierati alle svastiche sui bicipiti. Menzione specialissima per Giulia Ercolessi, una Fraulein Kost francamente irresistibile, che speriamo di vedere presto in altri ruoli, magari da protagonista. La regia a quattro mani di Brachetti e Luciano Cannito che cura anche le coreografie, non delude e anzi si fa osmotica con le scene di Rinaldo Rinaldi, gli strepitosi costumi di Maria Filippi e la direzione musicale di Giovanni Maria Lori.
Bravo l’ensemble che ci regala momenti di leggerezza e allegria, inchini invece all’orchestra dal vivo, anch’essa dal look decisamente fuori dagli schemi e per questo unico. Insomma un prodotto di qualità questo musical prodotto da Fabrizio di Fiore, in fondo anche specchio e ombra di una società che allora come oggi fatica nell’accettare la preziosità delle umane differenze. Tutto insomma, almeno sotto i riflettori, funziona, il quadro generale sembra talvolta perdere un po’ il ritmo, ma poi torna lui, il mitico torinese dalle mille facce e dal ciuffo puntuto, che con un solo sguardo stregante rimette tutti in riga dentro e fuori dal palcoscenico… Willkommen im Kabarett!