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Il turco in Italia e l’ilare voracità del consumismo al Teatro Verdi di Pisa

Una vivacità tutta moderna nella produzione firmata da Roberto Catalano e diretta da Hossein Pishkar

Un Turco in Italia ph Kiwi Official

Al Teatro Verdi di Pisa, Il turco in Italia di Gioachino Rossini ha trovato una nuova veste nella produzione firmata da Roberto Catalano e diretta da Hossein Pishkar.

Composto nel 1814 per il Teatro alla Scala di Milano, Il turco in Italia rappresenta una tappa significativa nella carriera del giovane Gioachino Rossini. Dopo il successo de L’italiana in Algeri dell’anno precedente, Rossini tornò a confrontarsi con l’esotismo orientale, ma con un approccio più complesso e originale.

Il libretto, firmato da Felice Romani, si distingue per l’abilità nel mescolare la comicità farsesca con una raffinata riflessione metateatrale. La presenza di Prosdocimo, il poeta che commenta e influenza l’azione, anticipa tecniche narrative moderne, rompendo la quarta parete e invitando il pubblico a riflettere sul ruolo dell’arte e della finzione.

Nonostante le sue innovazioni, Il turco in Italia non riscosse lo stesso immediato successo di altre opere comiche di Rossini, probabilmente a causa della sua maggiore complessità drammatica. Solo nel Novecento, grazie a registi e interpreti capaci di valorizzare la sottile ironia del libretto e la brillantezza della partitura, l’opera ha guadagnato il posto che le spetta nel repertorio rossiniano.

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Roberto Catalano ha firmato una regia dal respiro internazionale, intelligente e piena di invenzioni, arricchita da una cura minuziosa per i dettagli. Ambientare l’opera negli anni del boom economico italiano si è rivelata una scelta vincente, che ha permesso di contestualizzare temi universali come la superficialità, il desiderio e il gioco delle apparenze in un’epoca di grande fermento sociale e culturale, dove tutto si vende e si compra persino l’amore, relegato in una boccetta di fragrante profumo “Vero Amore”.

La scenografia di Guido Buganza e i costumi di Ilaria Ariemme, ispirati al pop degli anni ’50 e ’60, hanno creato un universo visivo vivace e vibrante, dominato dai colori primari del giallo e del blu. Ogni elemento della scena ha rivestito un valore simbolico e drammaturgico, dalla caffettiera, che evocava Napoli e la sua tradizione conviviale, agli armadi anch’essi di un giallo acceco da cui comparivano magicamente le soubrette in un gioco comico e travolgente, insieme a tutti i “vani ornamenti”.

La regia ha saputo sfruttare gli oggetti di scena come elementi dinamici e narrativi, trasformandoli in strumenti per enfatizzare il ritmo comico, come le merendine lanciate e raccolte sulla scena e le gestualità ispirate al varietà televisivo, che hanno restituito un senso di leggerezza senza scadere nella caricatura. Catalano ha inoltre saputo lavorare con gli interpreti in modo efficace, costruendo interazioni credibili e ben ritmate che hanno dato vita a un’azione scenica fluida e coinvolgente, senza mai tradire lo spirito rossiniano.

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La bacchetta di Hossein Pishkar, alla guida dell’Orchestra Giovanile “Luigi Cherubini”, ha offerto una lettura musicale precisa ma non sempre capace di esaltare la verve rossiniana. I tempi adottati, spesso più lenti del necessario, hanno talvolta appesantito l’azione, sottraendo dinamicità alla trama musicale e scenica. Ulteriore pecca il bilanciamento sonoro: l’orchestra ha sovrastato in più occasioni le voci, rendendo difficile cogliere la brillantezza dei recitativi e le sfumature vocali dei cantanti, soprattutto nei concertati. Nonostante questi limiti, ci sono stati momenti di buona sinergia, come negli assiemi finali dei due atti, dove si è percepita una maggiore coesione tra palco e buca.

Per il cast, catalizzatore dell’azione è stato il Prosdocimo di Bruno Taddia, dalla spiccata teatralità e dal fraseggio raffinato. Giuliana Gianfaldoni, nel ruolo di Fiorilla, ha offerto una prova corretta, nonostante un’indisposizione annunciata. La sua linea vocale, pur contenuta, ha mostrato un controllo tecnico solido, soprattutto nelle smorzature e nei passaggi più lirici del secondo atto. Marco Bussi è stato un Don Geronio efficace, capace di divertire senza eccedere nella caricatura, dal timbro caldo ed una recitazione ben calibrata. Adolfo Corrado, nel ruolo di Selim, ha messo in mostra una voce baritonale di qualità, ma la sua interpretazione avrebbe potuto beneficiare di una maggiore profondità espressiva. Buona agilità e brillantezza timbrica per Francisco Brito nei panni di Don Narciso, anche se le note più acute hanno evidenziato qualche tensione. Francesca Cucuzza, è stata una Zaida di buona presenza scenica ma non del tutto convincente per la vocalità pungente, in difficoltà l’Albazar di Antonio Garés.

Una produzione fresca e vitale grazie alle riuscite intuizioni registiche, che, nonostante qualche ombra musicale, si è guadagnata l’applauso caloroso del numeroso pubblico in sala alla prima pisana.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Direzione
Solisti
Orchestra
Scenografia
Costumi
Pubblico
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il-turco-in-italia-e-lilare-voracita-del-consumismo-al-teatro-verdi-di-pisaUn turco in Italia <br>Donna Fiorilla Giuliana Gianfaldoni <br>Selim Adolfo Corrado <br>Don Geronio Marco Bussi <br>Don Narciso Francisco Brito <br>Prosdocimo Bruno Taddia <br>Zaida Francesca Cucuzza <br>Albazar Antonio Garés <br>Direttore Hossein Pishkar <br>Regia Roberto Catalano <br>Scene Guido Buganza <br>Costumi Ilaria Ariemme <br>Luci Oscar Frosio <br>Coreografia Marco Caudera <br>Maestro del coro Alberto Pelosin <br>Maestro al fortepiano Riccardo Mascia <br>Orchestra Giovanile Luigi Cheruibini <br>Coro Lirico Veneto

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