
Garzanti Edizioni
Ai bambini e alla parte perduta o dimenticata di noi. A Nina, Pietro e Flavio (in ordine di apparizione)
Mi capita spesso di osservare le persone e cercare di immaginarle com’erano da bambini. Quanti dimenticano la paura del buio, la voglia ingenua di realizzare sogni impossibili, le figure che prendono corpo dalle favole e costruiscono l’immaginario della tenera età.
Il giornalista Carlo Verdelli recupera quel passato che tutti abbiamo in comune: l’infanzia. “Persino Gesù è stato piccolo, si sa niente della sua bambinità tranne che era bello bravo e buono, ma lo è stato. Persino Matusalemme, il più vecchio dei vecchi, una barba bianca che arrivava da qui al mare: gli ci sono voluti 969 anni per morire”.
Storie di bambini e di adulti si mescolano inframezzate da alcune poesie. La bontà di Scilia nei confronti del barbone Gimbel, la tenerezza del voler scrivere a Springsteen per suonare qualcosa insieme a lui, i ricordi dei primi giorni di scuola o del via alle rotelle della bicicletta. Non solo, ci sono anche storie tragiche, come quella di Askanu, il bambino etiope che si impiccherà a un albero.
Una morte che invece viene esorcizzata se vista con gli occhi di un gruppo di amici che giocano a “chi muore meglio”.
Verdelli ci pone davanti alle molteplici sfaccettature della prima fase della nostra vita mostrando con naturalezza quel mondo appannato appena dietro le nostre spalle e riportando alla luce le immagini offuscate dal tempo. Tutti siamo stati bambini e una parte di quei bambini è sempre dentro di noi.
Alla fine del libro è possibile scrivere un ricordo d’infanzia e poi passarlo a un ex bambina/o che ci sta particolarmente a cuore.