Dacia Maraini riempie la Feltrinelli Red di Firenze, già un’ora prima dell’incontro. Intervistata da Laura Montanari e Fabio Galati, la scrittrice si racconta partendo dal libro intervista scritto a quattro mani con Joseph Farrell: “La mia vita le mie battaglie”.
L’autrice parte dall’infanzia ricordando la rottura del padre Fosco con il nonno Antonio, il quale si era appassionato al futurismo innestato nel fascismo. “Gli strappò la tessera del partito fascista. Non si sono più parlati per trent’anni” – spiega.
“Quando avevo un anno, mio padre vinse una borsa di studio e partimmo per il Giappone” – Fosco Maraini, antropologo, andava a studiare gli ainu, nel 1942 pubblicherà la monografia Gli Iku-bashui degli Ainu – Qui la prima parte della mia vita è stata molto bella, vivevamo in una casa di legno in mezzo alla neve. Poi, quando tutti gli italiani sono stati chiamati a firmare per la Repubblica di Salò, i miei genitori si rifiutarono, così siamo finiti in un campo i prigionia dove rischiavamo la vita, pativamo la fame e venivamo assaliti dai parassiti. Quello per me fu un grande esempio di idealismo”.
Dal Giappone la famiglia si sposta a Bagheria, in Sicilia, dove vivrà in povertà in un appartamento arrangiato, un ex pollaio.
“La Sicilia è un po’ come il Giappone – spiega la Maraini – io non ho nessuna ostilità o rabbia nei confronti del popolo giapponese. Quando stavo in Giappone, passavo sotto il filo spinato e andavo a lavorare per i contadini in cambio di una patata, un uovo, e queste persone con cui parlavo, erano gentilissime e contrarie alla guerra; così in Sicilia – continua – non ho mai avuto un rapporto negativo con il popolo. Nel clima di repressione, soprattutto nei confronti delle ragazze, per me c’era un conflitto irrisolvibile, perché non potevo accettare l’idea di mancanza di libertà. Per me andare via è stato un istinto”.
Come non ricordare Alberto Moravia, il suo rapporto morboso con la madre e quello drammatico con la borghesia, che emergono a gran voce nel romanzo Gli indifferenti.
“Alberto non amava parlare del passato, diceva: Il passato è come una minestra riscaldata. Quando parlavamo però, venivano fuori aneddoti interessanti, così gli ho proposto di fare insieme il libro Il bambino Alberto. Ricordo suo padre, un architetto veneziano che amava dipingere piccoli quadretti a quali era molto attaccato”.
La scrittrice nutre una grande passione e interesse per la storia delle monache. Nel libro Chiara di Assisi. Elogio della disobbedienza, parla, attraverso la storia di Chiara, del grande conflitto tra la Chiesa, che era diventata un impero molto aggressivo e coloro che si riferivano al Vangelo.
“Chiara è un fenomeno straordinario perché riusciva a mantenere buoni rapporti con l’istituzione ecclesiastica ma contemporaneamente nel suo convento praticava tre principi fondamentali: la povertà, viveva solo grazie all’elemosina rifiutando le donazioni della Chiesa sfuggendo così al suo controllo; la democrazia, tutti erano considerati uguali, diversamente dagli altri conventi dove le contadine facevano le serve. Infine, si rifiutava di punire, mentre la Santa Inquisizione si basava sulla punizione”.
“Del Medioevo mi ha colpito molto la visionarietà. Il concetto di amore non esisteva, si amava Dio non una persona. Era un mondo estremamente represso e totalitario. Le persone avevano delle visioni in cui credevano. Le mistiche hanno scritto cose bellissime, manca l’attenzione verso degli scritti sapienti a causa di una censura misogina”.
“La letteratura del ‘600 – spiega – nasce nei conventi, perché le donne avevano molto tempo libero, mentre quelle che venivano date in sposa, facevano anche 20 figli e non avevano tempo per leggere o per scrivere”.