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Ciulla, il grande malfattore di Dario Fo e Piero Sciotto

Genio isolato e individualista, misconosciuto, ma capace di raccogliere intorno a sé falliti, timidi, disadattati e mediocri, nel paradosso che giustifica l'inadeguatezza con la presunzione della grandezza incompresa, pure destinata al riconoscimento postumo

Guanda editore

Siamo quasi alla fine del 1800, Roma è diventata capitale, le strade cambiano seguendo i dettami della riqualificazione urbanistica, sinonimo di speculazione edilizia.

Nel 1867, a Caltagirone, intanto è nato Paolo Ciulla, un pittore cantastorie discriminato per la sua omosessualità. Il nome è di per sé un destino, il contesto fa la sua parte. Il padre oltre a lavorare come calzolaio è anche un usuraio, la Banca romana falsifica denaro per quelli che oggi sarebbero 175 milioni di euro, avviene anche uno dei primi delitti di mafia, il direttore generale del Banco di Sicilia viene accoltellato prima che possa testimoniare sulle irregolarità del consiglio d’amministrazione. Il mandante è l’onorevole Raffaele Palizzo, prima condannato a 30 anni di carcere e poi magicamente assolto. Sarà Ciulla a cantare la storia del banchiere Emanuele Notarbartolo attraverso la satira, ma a qualcuno non piace e infatti riceve subito le prime minacce, non dimentichiamoci gli anni dei fasci siciliani.

E così decide di aprire uno studio fotografico a Catania, dopo che gli viene rifiutato un posto come insegnante, ma il povero artista non ha fortuna e non riesce a dimostrare le sue doti, decide quindi di andare all’estero. A Buenos Aires incontra un italiano camorrista che lo fa rinchiudere in manicomio, quando esce torna in Italia e inizia a fare incisioni, qui rimane vittima di due malfattori che gli fanno incidere una lastra per falsificare denaro, da ora in avanti le cose cambieranno significativamente. Da ingenuo artista, Ciulla diventa un fuorilegge.

Ha provato in tutti i modi a lavorare onestamente, l’utimo tentativo è la riproduzione di stampe di quadri famosi, ma nessuno riconosce il suo talento, per questo motivo si arrenderà a falsificare, perché è l’unico modo per dimostrare le sue capacità artistiche.

La cantina in cui falsifica i tagli da 50 e 100 lire è nello stesso stabile in cui abita Giovanni Verga. Gli acidi che utilizza lo rendono quasi cieco, tanto che i due soci decidono di abbandonarlo. Ciulla non si dà per vinto e, da solo, inizia a falsificare fogli da 500 lire, il cui valore all’epoca è l’equivalente di 750,00 euro odierni.

Ma Ciulla non è propriamente un ladro, infatti distribuisce le 500 lire ai bisognosi che incontra per strada. Il numero dei carrettieri nelle fiere aumenta, perché l’acquisto degli animali veniva utilizzato per scambiare il grosso taglio. Dal camino dello sventurato esce fumo colorato, se ci si avvicina troppo si sente puzzo di grasso animale bollito che utilizza per riprodurre la filigrana.

Mentre indisturbato cerca la perfezione nella giusta opacità della carta, nei piccoli dettagli, le stranezze che lo circondano non fanno che acuire i sospetti su di lui e le indagini già in corso ci mettono poco ad arrivare alla sua porta.

Ciulla viene arrestato e condannato a tre anni di carcere. Sui giornali esaltano le sue doti di falsario, è il primo riconoscimento della sua bravura. Tutti vedono in lui un eroe, una sorta di Robin Hood.

Dario Fo e Piero Sciotto ricostruiscono la storia di quest’uomo in bilico tra i malfattori e i benefattori. Ciulla è un personaggio tanto talentuoso quanto scaltro, la cui storia è poco conosciuta.

Il libro, oltre a ripercorrerne la vita, approfondisce il contesto storico e ci restituisce un divertentissimo processo paradossale che non è poi così lontano dai giorni nostri.

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