[rating=4] Nuova produzione della Cenerentola di Prokofiev per inaugurare la stagione di ballo 2015-2016 del Teatro alla Scala di Milano. Cinderella, titolo inglese per l’inedito allestimento di Mauro Bigonzetti, coreografo che esordisce al Piermarini con uno spettacolo memorabile. Il balletto di Sergej Prokofiev torna alla Scala con una veste innovativa, in cui classico e contemporaneo si incontrano positivamente rimescolando le carte e sorprendendo per effetti ed emozioni.
Sergej Prokofiev, sommo esponente del panorama musicale novecentesco, compose Cenerentola nel pieno della Grande Guerra Patriottica (Seconda Guerra Mondiale nei nostri sussidiari), con le truppe nazifasciste che ancora occupavano il suolo sovietico.
Sul podio d’orchestra il maestro Michail Jurowski, sensibile e pacato, minuzioso nella resa timbrica e scrupoloso osservatore dei colori e dei ritmi. Una direzione sinfonica, piacevole e persino melodiosa, da registrazione. Jurowski e Bigonzetti rispettano l’intenzione di Prokofiev e mantegnono la musica al centro dello spettacolo, quale ossatura fondamentale ed essenziale per il ballo.
Le sfumature chiaroscurali di fragilità, introversione e stridore emergono tutte dalla partitura, per quanto “romantica” possa sembrare. Il gioco dei ritmi, dei colori e delle caratterizzazioni costruisce un’atmosfera cupa e ironica, come nelle versioni più crude della favola. Una Cenerentola di guerra, storia della speranza che nasce dalla sofferenza e che sfida vittoriosamente le beffe del destino, eppure molto umana, sentimentale e intima.
Il nocciolo della trama è lo stesso che alla Scala sta vivendo sulle note dell’opera omonima di Rossini nel programma “Grandi spettacoli per piccoli”, ma anche qui si trovano notevoli variazioni sul tema. Del resto Cenerentola, come ogni favola, si presta ad innumerevoli interpretazioni oltre a quella tradizionale di Charles Perrault, tanto più che è tra le più antiche e ricorrenti storielle popolari.
Nella versione di Prokofiev, secondo il libretto precedente di Nikolai Volkov, si notano in particolare la presenza delle Fate delle Stagioni accanto alla proverbiale Fata Madrina e la caratterizzazione piuttosto umoristica della matrigna e delle sorellastre.
Ulteriore variazione introdotta dallo stesso Bigonzetti, e di non poco conto, è la sostituzione della scarpetta di cristallo di Cenerentola (già rimpiazzata da Rossini con un bracciale) con il suo vestito, che la bella fanciulla, fuggendo precipitosamente da palazzo allo scoccare della mezzanotte, lascia tra le mani del Principe mentre tenta di trattenerla invano. Una scelta rischiosa e piuttosto eccentrica, che Bigonzetti ha argomentato rifacendosi alla metafora della muta di pelle, come se Cenerentola indossasse e dismettesse una membrana che le serve solo per accedere all’attenzione del Principe durante il famigerato ballo. Di fatto la protagonista non resta nuda sul palco, ma con un costume più osé (corpetto e tutù) che vestiva sotto il sontuoso abito donatole dalla Fata Madrina.
La coreografia del maestro Bigonzetti è una miscela di accademia e avanguardia, che fa i conti con la tradizione e che si adatta al repertorio scaligero, senza rinunciare alla sperimentazione. I movimenti del corpo vengono impiegati senza sconti, in giochi di relazione tra gli arti e sempre con grande attenzione alla mimica facciale.
Importante la simbiosi fortissima tra solisti e corpo di ballo, in un allestimento privo di scene e di oggetti sul palco che immerge la danza in uno spazio amplissimo. La sospensione nel vuoto è continuamente evocata ed è palpabile una generale velata atmosfera di astrazione e di formalismo, seppure mai esplicita.
Bigonzetti rispetta i leitmotiv e i numeri musicali di Prokofiev e non chiede ai ballerini scaligeri di trasformarsi in compagnia di danza moderna, eppure l’uso di figure e di passi contemporanei è costante e sostanziale. Particolarmente notevole l’uso di braccia e mani, poco scolastico ma perfettamente in sintonia con lo spartito musicale, la cui articolazione così variegata è corrisposta dalla dinamica dei movimenti.
I ballerini si muovo sul grande palco del Piermarini praticamente senza scenografia. Solo un fondale con loggia e alcuni grossi parallelepipedi laterali fungono da enormi quinte su cui vengono proiettate immagini in movimento, in tinta gotica e ombrosa. Un allestimento innovativo, in cui le proiezioni video non integrano (come nella Giovanna d’Arco appena messa in scena), ma sostituiscono del tutto la scenografia teatrale. Poco illuminato il palco, dal quale emergono i personaggi i cui costumi rievocano il barocco delle gorgiere, dei corpetti e dei panier.
Sono proprio i costumi a rendere memorabile il terzetto della matrigna con le due sorellastre, che entrano ed escono da tre “armature” attaccate in sequenza tra loro e scorrevoli su carrellini nascosti. I tre manichini riproducono l’estetica della moda barocca, ma con fattezze metalliche: le sorellastre e la matrigna devono spesso uscirne, con trovate alle volte volutamente goffe e buffe, e ballare in corpetto e tutù fuori dai rigidi abiti con gonnellone a sbuffo. Fuori dalle rispettive “armature”, con le quali le danzatrici giocano consapevolmente, il trio non perde compattezza, subendo l’autorità della madre-padrona pedissequamente seguita dalle figlie che le fanno il verso, come ad una “mamma chioccia” in grado di addomesticare ogni altro ballerino, persino nelle coreografie d’insieme.
Il terzetto grottesco, esasperato anche da trucco e parrucche, conquista il centro dell’attenzione a discapito della coppia degli innamorati protagonisti. Una “Cinderella” che suscita in più punti ilarità tra il pubblico, piuttosto che pietà e commozione: se la trovata riguardo a sorellastre e matrigna è geniale, è pur vero che Cenerentola e, soprattutto, il Principe pagano una caratterizzazione molto più debole e meno incisiva. I passi a due tra i protagonisti non lasciano il segno, nonostante qualche emozionante figura che gioca con l’antica dialettica fra seduzione e timidezza.
Ottimi gli interpreti della recita del 30 dicembre che abbiamo potuto apprezzare per qualità tecniche ed espressive. Brava Virna Toppi, Cenerentola, eterea e leggerissima, dai movimenti così aggraziati che è impossibile non vederla come principessa fin dall’inizio. La sua interpretazione è stata impeccabile, sostenuta da un’espressività molto commovente. Molto bene anche il Principe Jacopo Tissi, che riesce ad emergere nonostante la coreografia riservi alla parte un ruolo sottotono. Uno tra i migliori danzatori del Corpo di Ballo del Teatro alla Scala, che ha retto il difficilissimo paragone con Roberto Bolle, nella sua parte nella prima del 19 dicembre. Ottime, affiatate, divertenti le sorellastre Alessandra Vassallo e Chiara Fiandra insieme alla matrigna Stefania Ballone. Le tre ballerine si sono spese al massimo in ogni aspetto della loro parte sui generis: recitazione, mimica, persino qualche schiamazzo, e passi di danza raramente impiegati al Piermarini. Molto bene anche la Fata Madrina di Vittoria Valerio, in un ruolo quasi da ballet blanc, insieme alle Fate delle Stagioni Marta Gerani, Gaia Andreanò, Maria Celeste Losa e Denise Gazzo sempre in perfetta sintonia. Bravi Marco Messina, Valerio Lunadei, Angelo Greco e Matteo Gavazzi che hanno impersonato gli amici del Principe.
L’esibizione del Corpo di Ballo e dei solisti è senza dubbio un successo per il direttore scaligero Makhar Vaziev, che è riuscito a formare ai massimi gradi danzatori versatili e capaci di dimostrare grandi qualità e tecnica impeccabile. Elementi che senza dubbio hanno incontrato felicemente la creatività di Mauro Bigonzetti.
Lo spettacolo, per quanto audace, ha riscosso un unanime e caloroso successo di pubblico.