Cosa si potrebbe dire di nuovo su La Grande Bellezza che non sia stato già scritto o festeggiato? Tutti già sanno che il film diretto da Paolo Sorrentino e interpretato da un monumentale Toni Servillo ha vinto l’Oscar al Miglior Film Straniero. Tutti già sanno che era da 15 anni, dai tempi de La vita è bella, che l’Italia non riusciva in una simile impresa e che era dal 2006 che un film italiano non riceveva una nomination (l’ultimo era stato La bestia nel cuore di Cristina Comencini). Tutti già sanno che prima di ricevere la statuetta, quest’ode “decadente e caduca della Roma eterna” aveva già collezionato una sfilza di premi che manco il Barcellona nel campionato spagnolo: ai Golden Globe, BAFTA, European Film Awards, Nastri D’Argento, Hollywood Film Festival e Premi César (Oscar Francesi). Tutti già sanno anche che il trionfo non è individuale, ma dell’intero cinema italiano, dal suo “sistema” di piccoli, medi e grandi produttori e di consumatori. Tralasciando gli immancabili detrattori per moda (che ora impareranno a memoria le enciclopedie del cinema pur di portare avanti le loro tesi). Infine tutti già sanno che
Ma forse è meglio ricordare che qualcuno (parecchi) aveva gridato in principio alla versione 2.0 de La Dolce Vita di Fellini. Che poi, perché 2.0 (termine a dir poco inflazionato) non si è ancora capito. E senz’altro bisogna sapere qualcosa che i numeri traducono in maniera perfetta: La Grande Bellezza negli USA (e nel “piccolo” resto del mondo) ha incassato la “grande bellezza” (perdonate il giochino, ma era doveroso) di 100 milioni di dollari, mentre in Italia soltanto 7 milioni di euro. 7.194.646 per la precisione. Come si potrebbe spiegare un tale divario se non chiamando in causa il gusto e la cultura cinematografica di una nazione? Gli Stati Uniti da una parte, il Bel Paese dall’altra. I primi che apprezzano le sfaccettature, i messaggi e le loro sovrastrutture meravigliose del film di Sorrentino, i secondi (noi) che pensiamo basti l’appartenenza nazionale a eleggerci come grandi cultori della Settima Arte. Come se il successo de La Grande Bellezza sia a priori anche affar nostro. Troppo comodo dare la colpa agli esercenti e alle sale che chiudono per colpa della crisi e dello strapotere dei multiplex (concentrati in determinate aree del Paese). Perfino l’impatto mediatico propone un abisso.
Negli States The Great Beauty è diventato un vero e proprio fenomeno di massa, e il Jep Gambardella di Toni Servillo un mito cinematografico. Possibile che all’estero riescano ad apprezzarlo e a celebrarlo meglio di noi? A quanto pare sì. Ovviamente nel corso della passata notte tutto ciò è apparso quanto mai relativo. L’hashtag #LaGrandeBellezza su Twitter è stato abusato come non mai, persino (e giustamente) dai più alti rappresentanti delle istituzioni: dal ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini al neo-premier Matteo Renzi, che hanno usato il loro profilo per congratularsi col regista. Doverosi i complimenti anche da parte degli “addetti ai lavori” da Riccardo Scamarcio, Giovanni Vernia, Giovanni Veronesi, e Fabio Fazio. Nel vederlo così impacciato e insieme sicuro, tranquillo sul palco del Dolby Theatre di Los Angeles, a chi non è scesa una lacrimuccia o scappato un sorriso da cavallo? Sì, esatto, proprio come quello di Toni Servillo nel momento in cui Sorrentino ha incluso nei ringraziamenti anche Diego Armando Maradona, il leggendario numero 10 del grande Napoli. «Grazie all’Academy, a Toni e all’intero cast. Grazie alle mie fonti di ispirazione: Fellini, Talking Heads, Scorsese e Diego Armando Maradona. Grazie a Roma e grazie a Napoli e alla mia personale grande bellezza: Daniela, Anna e Carlo. Grazie inoltre a mio fratello Marco e a mia sorella Daniela. Questo è per i miei genitori». Queste le poche, sincere parole pronunciate dal regista campano con quell’accento tutto italiano che ci ha resi famosi oltreoceano e nel mondo. Simpatico, dopo tutto.
Ma per farcene davvero un’idea, diamo un’occhiata ai titoli e agli strilli dei più autorevoli quotidiani americani. Il New York Times ha titolato: “Potrebbe semplicemente essere il film più indimenticabile dell’anno”, seguito dall’L.A. Times: “Magnifico, sfarzosamente seduttivo”. A bomba invece il giudizio del Time Magazine, “Il più grandioso e affascinante film straniero dell’anno”, come del resto fa il New York Times, che scrive: “Un’ode elettrizzante, selvaggiamente creativa”. Il New Yorker, poi, rende omaggio a una realtà italiana che vale quanto un patrimonio: “Il volto di Servillo è uno dei tesori del cinema moderno”. Il The Village Voice, infine, descrive la pellicola come “Uno dei più grandi film sulla dissoluzione della società moderna”.
Un trionfo, senza mezzi termini. Abbiamo vinto e stra-vinto un po’ tutti, in fondo. Anche quelli che non se lo meriterebbero. Perché è questa la bellezza del cinema: la condivisione di un’idea, di immagini, di un tempo, di un luogo, di una storia. Ed è proprio – consentitemelo – una grande bellezza.