Home Architettura La ‘pelle squamata’ del Kunsthaus Bregenz di Peter Zumthor

La ‘pelle squamata’ del Kunsthaus Bregenz di Peter Zumthor

Un cubo di vetro si innalza lungo le rive del lago di Costanza. E’ il suggestivo museo d’arte della cittadina di Bregenz, Kunsthaus Bregenz, edificio che, nonostante la forte autonomia e la decisa caratterizzazione, riesce ad inserirsi con naturalezza nel panorama circostante. Commissionato nel 1993, il museo viene pensato e progettato come struttura in grado di catturare e assorbire la luce del cielo e il riverbero del lago; un’architettura, dunque, sempre nuova e in continuo mutamento.

L’attacco al suolo del museo appare semplice e lineare, ma nasconde, in realtà, una tecnologia all’avanguardia: un complesso gioco di rivestimenti in vetro, intercapedini e fondazioni perimetrali staccate rispetto alla pelle dell’edificio, garantisce, infatti, un’illuminazione naturale al piano interrato. La volontà di catturare la luce soffusa che si irradia lungo le rive del lago di Costanza, caratterizza il prospetto del museo; grazie ad un doppio rivestimento in scandole di vetro opalino, la facciata acquista una diafana e quasi misteriosa impalpabilità.

Bregenz Kunsthaus

L’edificio, nonostante le notevoli dimensioni (22 x 30 m), ed il pesante corpo interno in calcestruzzo armato, viene smaterializzato e appare quasi incorporeo. Le scandole di vetro sorrette da una struttura autoportante in acciaio, si sovrappongono le une alle altre, senza mai toccarsi, rendendo la facciata vibrante, seppur regolata da una rigida modularità. Lo stesso Zumthor definisce questo doppio rivestimento in lastre di vetro smerigliato, una sorta di “pelle squamata“, un “piumaggio leggermente arruffato“.

Il cielo – dunque il mondo, lo spazio esterno – e le sale espositive del museo – l’ambiente interno, introverso – sono chiaramente distinti, ma allo stesso tempo saldamente legati e tenuti in stretto rapporto da una linea: la copertura piana dell’edificio. Ancora una volta emerge il tema della complessità nell’apparente semplicità; ancora una volta è la luce l’elemento centrale e unificante. Il sistema di controsoffittatura permette, infatti, alla luce di penetrare all’interno delle sale, dando forma e corposità agli spazi grazie alle sue continue variazioni e differenti intensità.

L’ambiente interno, concepito come ripiegato su sé stesso, in quanto viene negata la vista sul paesaggio esterno, mantiene con quest’ultimo un legame diretto proprio grazie all’illuminazione naturale. Pannelli quadrati, sospesi da giunti ben visibili sorretti da aste in acciaio, dissolvono i piani, divenendo, al tempo stesso, misura dello spazio.

La soluzione angolare del museo appare peculiare. L’angolo all’apparenza vivo, netto e ben definito formato dalle scandole di vetro, in realtà è un taglio aperto al paesaggio. Gli elementi angolari, infatti, non si toccano tra loro e sono come cuciti e tenuti insieme dalla luce.

La luce, che attraversa l’intercapedine di quasi un metro tra il rivestimento in vetro e la struttura in calcestruzzo armato, modella una sorta di cornice velata attorno all’edificio; questa contribuisce a smaterializzarlo e a confonderlo armoniosamente con il cielo.

Degno di nota ed essenziale alla comprensione globale del progetto, è l’angolo formato dall’edificio espositivo e dalla struttura autonoma e separata che ospita un ristorante-caffetteria. Qui, infatti, trova posto una piazza pensata come collegamento con la città vecchia, luogo di ritrovo e cuore pulsante della vita cittadina. Spazio pubblico, energia urbana.

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