[rating=4] Un viaggio che forse non arriverà mai a destinazione. Sei persone che tentano affannosamente di raggiungere Collision, una sperduta cittadina dell’Illinois per radunarsi con altri quarantaquattromila attori, attrici, clown e burattinai che, come loro, almeno una volta nella vita hanno recitato in uno spot di Mc Donanld.
“Sarà una riunione enorme. Sovraumana. Quarantaquattromila persone che sotto gli obbiettivi delle telecamere mangeranno. Un’irruzione di consumo puro al novantanove virgola quarantaquattro per cento”. Uno spettacolo alcioniano e apocalittico, l’ultimo e il più grande degli spot nella mente del suo organizzatore: J. D. il più geniale pubblicitario di tutti i tempi.
Lui che per salvare il suo evento è andato col figlio Ronald Mc Donald, eterno volto clawnesco della sua campagna pubblicitaria, a prendere all’aeroporto i quattro attori mancanti all’appello per portarli personalmente alla famigerata riunione. E così ora si trova in macchina con un giovane “dolorosamente brillante”, apatico a tutto tranne che al suo arco; la giovane moglie di lui “pura nevrosi ambulante”, poetessa postmoderna che scrive solo usando le consonanti; un aspirante attore claustrofobico con un occhio girato e infine un’attempata hostess dal volto arancione e dall’emotività facile.
E sotto un cielo plumbeo, circondati soltanto da campi di granturco, incomincia a piovere, l’odore dell’asfalto bagnato sale dritto nelle narici di J.D. Steelritter e la macchina si ferma. E’ il ritratto di un’ “epoca sospesa tra pienezza ed esaurimento”, in cui vengono scovate le paure e poi vengono vendute le soluzioni; in cui la soddisfazione e la consumazione del desiderio è inesauribile, come la solitudine di ogni individuo. Un piccolo uomo in balia di stimoli, fobie, nevrosi e desideri; un corpo e una mente da riempire, con quello che decide l’industria pubblicitaria, fino a farli scoppiare.
Leggere Wallace non è immediato: la ricorsività, la meta scrittura, l’uso di note. Pensare di fare un adattamento teatrale è quasi da folli. Eppure la sfida appare riuscita. La scrittura è fedele allo spirito corrosivo del testo con gli attori che si “sdoppiano” recitando i dialoghi e le didascalie che li coinvolgono.
L’abile regia di Bargagna richiede ai suoi attori di essere costantemente al di sopra delle righe, sottolineando ogni movimento, ingigantendolo, fissandolo. Facendoli sembrare puro carattere per far poi intravedere in una frazione di secondo un’umanità che anche loro avevano dimenticato di avere.
Una scenografia minimalista, che punta tutto sul gioco di luci e sulla presenza di colori forti come il verde. Un’eccellente prestazione attoriale della compagnia che riesce a creare uno spettacolo corale senza sbavature, coinvolgendo a fondo lo spettatore che arriva a chiedersi insieme a loro se la macchina ripartirà, se arriverà oppure se forse è già arrivato. Perché appartiene ad una generazione per cui tutto quello che resta alle spalle è consumato.