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“Due passi sono” illogici e grotteschi

[rating=2] L’alternanza di caselle nere e bianche, disseminate regolarmente sul pavimento, è interrotto da due sedie affiancate ed un fiore finto. Sulle sedie due corpi di spalle, nella penombra. Così si apre lo spettacolo “Due passi sono” al Teatro delle Passioni di Modena. Con movimenti che ricordano una marionetta, l’uomo si volta e la donna accende la luce e conta una serie infinita di compresse.

Il clima che si respira è quello del Teatro dell’Assurdo, le domande perdono il loro senso e diventano più un rituale, un modo per testimoniare la propria esistenza. Perché quest’uomo e questa donna non possono uscire? “Non si può” è la risposta, ma si avverte fin da subito che non è una risposta definitiva, la porta non è serrata ma rimane almeno socchiusa, e può sempre essere spalancata.

L’uomo guarda le stelle, la donna le mattonelle del pavimento, lei si muove sempre, lui è pressoché immobile, lei lo stimola, lui è apatico. Lui vuole abbracciare lei e lei glielo nega con il solito “non si può”, poi i ruoli si invertono. Alla fine tentano ma, per farlo, devono indossare dei guanti di lattice, e anche in quell’occasione non riescono a sfiorarsi. L’incomunicabilità è eloquente e salta ancor di più agli occhi vedendoli praticamente l’uno accanto all’altra per tutto lo spettacolo.

I riferimenti a Beckett si sprecano, ma qui non si ricercano le profondità e le riflessioni di quel tipo di teatro, si svicola nel comico, si strizza l’occhio al grottesco, si introducono tematiche moderne e attuali, non si è a-temporali. Questo forse rappresenta il difetto maggiore dello spettacolo: non è né carne né pesce, né assurdo né comico. La dimostrazione è anche nel finale, dove i due si giurano amore in una specie di matrimonio virtuale, con “tanta gente”, e vestiti da matrimonio appunto. Tutto ciò rappresenta l’happy ending che non ci si aspetterebbe mai dalla stasi iniziale, non si chiude il cerchio, e il passaggio da uno stato all’altro è troppo veloce (non basta far crescere il fiore finto per far vedere che è passato del tempo, il pubblico lo deve percepire). Perché dunque i due erano imprigionati? Non è una condizione umana l’essere intrappolati, basta alzarsi e camminare? La costruzione iniziale, arrivando nel finale, non sembra assurda ma semplicemente illogica.

Ammetto che pur amando il Teatro dell’Assurdo e il teatro comico in genere, personalmente non amo molto la loro commistione: le tematiche serie e pessimistiche dell’uno vengono sistematicamente spazzate via dall’ilarità dell’altro. Ed anche ammettendo che questa piece rientra in una trilogia di cui ancora non ho avuto la possibilità di vedere gli altri due spettacoli, il giudizio non può essere del tutto positivo, anche se le battute comiche sono per lo più azzeccate e le riflessioni inserite sono intelligenti e graffianti.

Bravi i due attori registi Giuseppe Carullo e Cristiana Minasi, a loro agio sia nella parte comica sia in quella assurda.

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