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Nel giardino del male di Riccardo III

Marchioni incarna un Riccardo suadente e spietato, mentre Latella firma una regia sobria, potente ma poco audace

Riccardo III © Gianluca Pantaleo

Nel Riccardo III il male non si annuncia: germoglia. Shakespeare lo immaginava come un corpo deformato, maschera grottesca di un’anima corrotta; Antonio Latella lo libera da ogni giustificazione anatomica e lo fa sbocciare nel luogo più inatteso: la bellezza. Il palco del Teatro Goldoni di Livorno è un Eden inquieto, colmo di fiori e fronde, da cui emerge, come una ferita nella natura, l’enorme tronco svuotato di un albero. È il primo segno: il paradiso non è più un’origine, ma un inganno.

L’immagine del tronco richiama, quasi in filigrana, l’albero in cui Sycorax imprigionava Ariel ne La tempesta: un’eco lontana ma illuminante. Qui, però, ciò che riemerge dal legno non è lo spirito della libertà, bensì l’araldo dell’avidità. Riccardo III sguscia fuori con leggerezza serpentina, sinuoso, quasi elegante. Il suo corpo non è mostruoso; è la parola a esserlo.
Vinicio Marchioni costruisce un Riccardo che seduce prima di ferire, che avvelena con la voce. Ogni frase è un incantesimo, ogni pausa una promessa di rovina. L’albero diventa tana, rifugio, ventre di tenebra: simbolo di un male che si mimetizza per meglio proliferare.

Riccardo III © Gianluca Pantaleo
Riccardo III © Gianluca Pantaleo

A terra, un pavimento riflettente: una superficie che specchia e deforma, come un abisso lucido. L’effetto è semplice e implacabile. Riccardo cammina sopra il proprio doppio, sopra la proiezione torbida della sua anima. L’immagine chiarisce la natura del personaggio: non un tiranno mosso dall’ambizione politica, ma un monarca dell’avidità, creatura divorata dal desiderio più primitivo, quello di possedere tutto: corpi, destini, sguardi.

Le scene di Annelisa Zaccheria danno respiro a questa costruzione simbolica: belle, curate, mai ridondanti. Un giardino che non consola, ma prepara alla caduta. In questo spazio sospeso si muove un cast corale che regge con solidità l’impianto drammatico, anche se a tratti la concitazione vocale sfiora l’eccesso, come se l’urgenza del testo spingesse verso un volume costante, appiattendo talvolta le sfumature emotive dei personaggi. Le presenze femminili, Ajelli, Coppola, Nieri, Mazzarino, danno densità a un mondo spossato dalla violenza maschile, mentre il Custode di Flavio Capuzzo Dolcetta (figura non prevista dal testo originale) introduce un controcanto enigmatico, un residuo di bellezza che tenta in ogni modo di arginare il disfacimento. Il suo gesto ultimo (che non sveliamo) lascia una domanda: il male è davvero estirpabile o semplicemente cambia mano?

Riccardo III © Gianluca Pantaleo

La traduzione di Federico Bellini merita un accenno preciso: scioglie il testo del Bardo, rendendolo più ritmato, talvolta sorprendentemente leggero, senza perdere densità. Una lingua che corre, affila, punge, e permette al pubblico di attraversare la trama senza inciampi.

La regia di Latella sorprende proprio dove ci si aspetterebbe l’eccesso. Niente sperimentazioni furiose, niente vertigini formali alla Un tram che si chiama desiderio. Qui prevale una sobrietà quasi ascetica: una regia che si ritrae, consapevole che la complessità della trama non tollera voli pindarici. Pulizia, nitore, ascolto della parola. Una scelta rischiosa e, in parte poco innovativa, ma coerente. Come un velo di purezza steso su un cuore marcescente: l’apparenza innocente di un male freddo, calcolatore, putrido.

In questo Riccardo III il giardino non è più l’inizio dell’umanità, ma il suo sepolcro. E il male non ha corpo, non ha gobba, non ha difetto: ha voce. Seduce, conquista, si specchia, si compiace. E alla fine si nutre proprio di ciò che la bellezza promette: l’illusione che esista ancora qualcosa di integro.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Drammaturgia
Attori
Allestimento scenotecnico
Pubblico
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nel-giardino-del-male-di-riccardo-iiiRiccardo III <br>di William Shakespeare <br>traduzione Federico Bellini <br>adattamento Antonio Latella e Federico Bellini <br>regia Antonio Latella <br>con Vinicio Marchioni <br>e con Silvia Ajelli, Anna Coppola, Flavio Capuzzo Dolcetta, Sebastian Luque Herrera, Luca Ingravalle, Giulia Mazzarino, Candida Nieri, Stefano Patti, Annibale Pavone, Andrea Sorrentino <br>dramaturg Linda Dalisi <br>scene Annelisa Zaccheria <br>costumi Simona D’Amico <br>musiche e suono Franco Visioli <br>luci Simone De Angelis <br>regista assistente e movimenti Alessio Maria Romano <br>assistente volontario Riccardo Rampazzo <br>produzione Teatro Stabile dell’Umbria, LAC Lugano Arte e Cultura

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