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L’insostenibile assenza della generazione Z

Oscar De Summa in prima nazionale al Metastasio con un processo che soffoca il vuoto

L’infamante accusa di assenza @ Duccio Burberi

Un’accusa enigmatica, un processo senza scampo, un verdetto che precede ogni possibilità di difesa. È su questo terreno instabile che si muove L’infamante accusa di assenza, andato in scena in prima nazionale al Teatro Metastasio di Prato. Scritto, diretto e interpretato da Oscar De Summa, insieme a Mattia Fabris, Lorenzo Guerrieri, Andrea Macaluso e Valeria Sibona, lo spettacolo è un tentativo ambizioso di dare forma al vuoto, un viaggio che oscilla tra suggestioni potenti e inciampi evidenti.

De Summa scava nelle crepe dell’esistenza, esplorando una colpa che non nasce da un atto, ma da un’essenza: il non conformarsi diventa crimine, il sentirsi estranei una macchia da estirpare. Demi, la protagonista, è una giovane d’oggi, un’anima irrisolta sospesa in un limbo dove il giudizio piomba come un’ombra ineludibile, tramutando il disagio in condanna. Ragazza della generazione Z, nativa digitale, vive in bilico tra sogni e paure, osservando un mondo che non riesce a far suo. Ma l’osservazione si spezza quando due figure enigmatiche irrompono nella sua casa, violandone l’intimità con domande taglienti e un’accusa tanto assurda quanto definitiva: assenza, da sé stessa, forse dalle aspettative o dal mondo adulto che la reclama.

L’infamante accusa di assenza @ Duccio Burberi
L’infamante accusa di assenza @ Duccio Burberi

Il meccanismo narrativo evoca Il processo di Kafka: un’accusa oscura, un tribunale invisibile, un verdetto già scritto. Demi è risucchiata in un vortice di colpevolezza senza appigli, dove le sue parole non hanno peso e la sua difesa è inutile. Ma si tinge anche dell’energia caotica e irriverente di Ubu Roi di Jarry. Gli accusatori danzano una coreografia grottesca, che richiama quella degli ubuiani, figure clownesche e deformi, ridicole e al tempo stesso minacciose, resi caricaturali dal trucco bianco: maschere di un potere assurdo che non cerca giustizia, ma solo colpevoli. Un mondo in cui il giudizio è una farsa e in cui, forse, i veri colpevoli sono quelli che puntano il dito.

L’allestimento visivo amplifica lo straniamento: un fondale bianco si accende di colori vividi, richiamando le luci taglienti di Bob Wilson, con figure che emergono nette tra ombre e chiaroscuri. Il ritmo oscilla tra sospensioni silenziose ed esplosioni verbali, mentre il sonoro – squarci di tromba e stridori improvvisi – sottolinea l’invasione degli accusatori, che occupano lo spazio di Demi, sottraendole cellulare e computer, cancellando i confini del suo universo digitale.

L’infamante accusa di assenza @ Duccio Burberi

Finché resta su un piano metaforico, lo spettacolo avvolge in una tensione inquieta che cattura. Ma nella seconda parte, il processo si trasforma in una farsa grottesca e sopra le righe, che spezza l’equilibrio e riduce la potenza iniziale. L’astrazione si dissolve in una verbosità eccessiva, un accumulo di parole che soffoca il concetto di assenza, rendendo il caos ripetitivo e privo di mordente, incapace di trovare una chiusura efficace.

Questa traiettoria si riflette anche nella recitazione: Valeria Sibona, nel ruolo di Demi, trasmette con efficacia lo spaesamento e la fragilità del personaggio, ma la sua interpretazione tende presto a cristallizzarsi in una monotonia cantilenante e monocorde, che ne attenua l’impatto. Gli altri interpreti – Mattia Fabris, Lorenzo Guerrieri, Oscar De Summa e Andrea Macaluso –, al contrario, dominano con una fisicità e gestualità debordanti, generando un cortocircuito con la sottrazione della protagonista e un evidente contrasto nel corpo attoriale.

L’infamante accusa di assenza @ Duccio Burberi

L’estetica teatrale gioca su un doppio registro, mescolando comicità e inquietudine – il riso si strozza, la farsa vira in incubo – ma questo fragile equilibrio non regge fino al termine. La drammaturgia, partita da un’idea potente e attuale, si perde in dialoghi ridondanti che ripetono senza aggiungere. Il pubblico dell’8 marzo ha reagito anche con durezza: dall’oscurità della platea alcuni si sono alzati, e qualcuno, irritato, ha urlato “vergogna”. Gli applausi finali, tiepidi, sembravano più un riflesso che un plauso convinto.

L’infamante accusa di assenza è una favola nera senza consolazione, che lascia un interrogativo sospeso: quanto può essere spietata una società che condanna chi non si piega al suo gioco? Demi non è eroina né ribelle, ma un’ombra che tenta di esistere. E in un mondo frenetico e implacabile, forse è proprio questo a spaventare.

PANORAMICA RECENSIONE
Regia
Drammaturgia
Attori
Allestimento scenotecnico
Pubblico
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linsostenibile-assenza-della-generazione-zL'infamante accusa di assenza <br>di Oscar De Summa <br>con un contributo di Lorenzo Guerrieri <br>con Oscar De Summa, Mattia Fabris, Lorenzo Guerrieri, Andrea Macaluso, Valeria Sibona <br>assistente alla regia Tommaso Rotella <br>progetto luci Matteo Gozzi <br>progetto musicale Oscar De Summa <br>scene Lorenzo Banci <br>costumi Chiara Lanzillotta <br>produzione Teatro Metastasio di Prato <br>PRIMA ASSOLUTA

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