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La Penelope di Badiluzzi non convince al Teatro Biblioteca Quarticciolo

La re-interpretazione del mito per eccellenza dell'attesa, prima colpisce e poi affonda, male

Federica Carruba Toscano in "Penelope" - Teatro Biblioteca Quarticciolo 29-30 aprile 2023

Martina Badiluzzi, attrice, regista, drammaturga, vanta un curriculum eccellete e premi fra i più agognati nell’ambito teatrale, non ultimo Biennale College e Fringe, così come Federica Carruba Toscano con i suoi felicissimi esordi assieme a Vuccirìa Teatro e tutta una serie di collaborazioni di rilievo nel panorama artistico nazionale. Da una coppia così, in veste l’una di autrice e l’altra di interprete di Penelope, lo spettacolo prodotto da Oscenica e altre due righe di co-produttori-sostenitori, ripresentato al Teatro Biblioteca Quarticciolo il 29 e 30 aprile, ci si sarebbe aspettati forse un prodotto molto più eclatante di quello che poi è effettivamente andato in scena.

C’è da dire che l’incipit prometteva benissimo. Una donna incontra un uomo, un ex? Un amante? Di certo un amore che fu, al tavolo di un ristornate dopo una lunga attesa. Sono passati degli anni prima di rivedersi e riscoprirsi forse sconosciuti. Lei la donna che incarna il mito dell’attesa per eccellenza: Penelope, la consorte ostinatamente protesa al ritorno di uno sposo con cui consumare nuovamente l’amplesso tanto sospirato, ma meglio se legata stretta a quel letto artigliato al terreno da radici legnose, dal quale adesso potrebbe forse  finalmente scappare.

Un momento del monologo “Penelope” di Martina Badiluzzi, con Federica Carruba Toscano

E lui? Un lui fumoso, impalpabile, abbronzato ma anche tendenzialmente stempiato, che cerca di farle, male, un complimento dicendole che è invecchiata tutta sulle mani. E’ un Odisseo scippato del suo ruolo di eroe maschio fedifrago, ma che dobbiamo celebrare in quanto salvatore ingegnoso della guerra di Troia. Ci piace questo rovesciamento, molto. Così come rimangono stupendamente incastonati nella memoria gli alti fusti di quei ventilatori bagnati di luce ocra, che ricordano quasi dei girasoli, silenziosi testimoni di un’interminabile e caldissima estate di dialoghi, anche e soprattutto interiori.

Menzione speciale anche per tre potenti e indimenticabili immagini: il naufragio-abbandono di una donna sola al tavolo di un ristorante, la danza dolcemente oscena di lingue nello stomaco e il corridoio, non-luogo di passaggio, perfetta metafora dell’animo attendista del femmineo “abbandonato”. Insomma dopo i primi venti minuti in cui la Carruba Toscano da il meglio di sé nell’interpretazione, accompagnata dal tocco leggerissimo di una regia affatto invasiva, anzi efficacissima, qualcosa non funziona più. Inizia un momento-polpettone.

La ragazzina con gli alcolici allo stadio, il padre-Polifemo che mangia ragazzine nude al barbecue e si meriterebbe una sigaretta in un occhio, Circe che muta gli uomini in porci con una forcina, la sirena che ha un cane senza nome. Il naufragio, in fondo atteso, stavolta di Penelope, è iniziato, ma non come ce lo aspettavamo. La premessa che pure un po’ ricordava il mood Deflorian/Tagliarini, maestri della Badiluzzi, inizia a scontrarsi pian piano con la destrutturazione del testo e inesorabile cola a picco, come la nave di Ulisse, tutto l’impianto drammaturgico.

Dov’è finito il mito di Penelope? Dov’è lei soprattutto? Fagocitata da altre immagini, parecchio confuse, del mito, che sembrano parlare la lingua di certi allievi ronconiani, speronati su visioni teatrali borghesucce, dove devi sapere tutto a prescindere e se non capisci è un problema tuo. Peccato. sì peccato perché c’erano davvero tutti gli ingredienti per una bella re-interpretazione di Penelope, la donna dell’angolo, di due cuori e una capanna, focolare domestico che può tranquillamente attizzare la mano della Penelope/Martina, infante piromane nella visione di Badiluzzi, che resta comunque un’autrice talentuosa, tanto quanto la Carruba una performer da meritati applausi.

Mezzo spettacolo si salva, l’altra metà soccombe, ahinoi a un teatro criptico, di teatranti per teatranti e non per un sacro pubblico pagante, che non necessariamente deve fare i compiti a casa per capirci qualcosa. Postmodernismo e capolavori della letteratura sono un’accoppiata pericolosa, palazzescamente incendiaria, ma pure facilmente autodistruttiva. Ecco che adesso anche chi scrive cede il fianco alla borghesissima citazione compulsiva, famelicamente e minacciosamente appostata in ogni anfratto teatrale. E non di quel teatro di cui piace scrivere e ancor più partecipare da spettatori.

Insomma c’era del bello, dell’interessante, del volutamente distorsivo, al limite dell’onirico, ma, questo il ma dolorosamente fondamentale, specie per chi apprezza il lavoro della Badiluzzi, nient’affatto necessario e men che meno urgente. Il teatro deve esserlo tutto? No, ma quando non lo è, anche per consapevole e decisa scelta stilistica, si spera rimanga magari godibile fino agli applausi. Così non è stato almeno per un rumoroso e russante spettatore delle ultime file, che ha raccolto dapprima un po’ di biasimo, ma in ultimo anche della divertita solidarietà.

PANORAMICA RECENSIONE
Scene
Regia
Drammaturgia
Recitazione
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la-penelope-di-badiluzzi-non-convince-al-teatro-biblioteca-quarticcioloPenelope <br>regia e drammaturgia Martina Badiluzzi <br>con Federica Carruba Toscano <br>progetto sonoro Samuele Cestola <br>disegno luci e scene Fabrizio Cicero <br>costumi Rossana Gea Cavallo <br>consulenza artistica Giorgia Buttarazzi <br>aiuto regia Arianna Pozzoli <br>curatore del progetto Corrado Russo <br>produttore generale Pietro Monteverdi <br>una produzione Oscenica <br>in coproduzione con Romaeuropa Festival, Primavera dei Teatri, Scena Verticale, Pergine Festival <br>con il supporto di La Corte Ospitale, Teatro Biblioteca Quarticciolo, Carrozzerie n.o.t.

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