Correva l’anno 2014 quando James Gunn decise di portare sul grande schermo I Guardiani della Galassia, un gruppo di supereroi molto sui generis e all’epoca conosciuto soltanto da uno sparutissimo numero di lettori di fumetti.
Nonostante ciò, la scommessa si rilevò vincente, visto che la pellicola realizzò il terzo miglior incasso del 2014, proiettando nel Marvel Cinematic Universe un orfano appassionato di musica e film degli anni Ottanta, un procione chiacchierone e molti altri strambi personaggi.

Da allora sono passati quasi 10 anni e i Guardiani sono diventate vere icone (funko) pop, oltre ad aver aiutato gli Avengers nella loro epica lotta contro Thanos.
Ma come tutte le saghe, anche quella di Star-Lord e compagnia pestante giunge al termine, complice anche il trasloco di James Gunn alla corte dei Distinta Concorrenza dei DC Studios.
Per fortuna, però, l’abbandono dei Marvel Studios da parte del deus ex machina della saga non ha coinciso con un minor impegno da parte sua nel regalare un degno finale a tutti i fan, tanto che potremmo definire Guardiani della Galassia vol. 3, l’ Avengers: Endgame di James Gunn.
Ma partiamo dalla trama, che inizia proprio dove l’avevamo lasciata, quindi ben lontana dal filone multiversale che sta infestando la fase 4 e 5 del Marvel Cinematic Universe.
Peter Quill (un impareggiabile Chris Pratt) è ancora tormentato dalla perdita della “sua” Gamora (Zoe Saldana). Ma proprio mentre giace sbronzo nella base dei Guardiani arriva l’attacco di un furente Adam Warlock (un poco incisivo e utilizzato Will Poulter), che riesce a ferire gravemente Rocket (con la solita voce di Bradley Cooper). Da qui inizia una lunga corsa contro il tempo per salvare il compagno di squadra, che porta i Guardiani a conoscere la sua “storia d’origine”, nonchè il suo geniale e temibile creatore: l’egocentrissimo Alto Evoluzionario (Chukwudi Iwuji).
La storia inizia così a dipanarsi tra bizzarre popolazioni spaziali, costumi sgargianti, dialoghi irresistibili e una colonna sonora infarcita di canzoni cult come Creep dei Radiohead, Dog Days are over dei Florence + Machine e Badlands del Boss, Bruce Springsteen: insomma, il solito mix utilizzato da Gunn nei capitoli precedenti e nel meno riuscito Suicide Squad 2.
Ma il tocco in più di questo terzo e ultimo capitolo è l’approfondimento psicologico di tutti i personaggi della squadra ed in particolare di Rocket, che in alcuni momenti, grazie alla sua toccante back story, riesce a rubare la scena perfino all’idolo delle folle galattiche Star-Lord.
Se il piatto può sembrar ricco, stupirà ancor di più scoprire che in questo caleidoscopio di emozioni della durata di “soli” 150 minuti, riescono a trovar spazio anche gli altri Guardiani, tra cui Drax (Dave Bautista) e Mantis (Pom Klementieff), che si confermano la vera “coppia” della saga, come già intravisto nel Christmas Special dedicato ai Guardiani.
Degno di nota anche l’intero comparto degli effetti speciali che, tra le altre cose, riesce a rendere credibili i tanti animaletti (in modalità base ed evoluta) di cui è popolato questo terzo capitolo della saga.
Insomma, dopo diversi passi falsi con Guardiani della Galassia vol. 3 i Marvel Studios si riconciliano momentaneamente con il fandom, lasciando la speranza che il prossimo tassello del puzzle sia all’altezza e non faccia rimpiangere troppo l’abbandono di James Gunn: d’altronde, al ritorno di Capitan Marvel e delle sue incredibili amiche in The Marvels non manca poi così tanto.
Nel salutare i Guardiani, non ci resta quindi che incrociare le dita (e i rami di Groot): le strade del Marvel Cinematic Universe sono infinite, chi può escludere che un giorno non ritornino per una di quelle reunion che tanto piacciono ai fan e ai box office?