
Appena giunti ai piedi della fortezza medicea, sede della Casa di Reclusione di Volterra, siamo accolti all’esterno da un delicato e delizioso prologo creato da un ensemble di bambini musicisti (piano giocattolo, sassofono e violino) e ballerine, interamente vestiti di bianco, che con una musica cantilenosa e una danza appena accennata, hanno dischiuso il portone del carcere, dal quale è sortito un uomo-scacchiera, un Armando Punzo completamente vestito e dipinto nel volto a quadri bianchi e neri, che tende un bianco orecchio gigante alla musica e al pubblico. L’attore si avvicina a una bambina della coreografia e gli rivela all’orecchio una frase, un “passaparola” che nel giro di pochi minuti vede il pubblico stesso a passarsi il messaggio segreto contente il titolo dello spettacolo: Mercuzio non vuole morire. Appena oltrepassata la soglia del portone, la magia si dissolve e ha inizio la prassi per accedere al carcere.
Lo spettacolo si schiude con un energico duello di fioretto e di parole tra Punzo, liberato dal trucco, e un detenuto truccato invece pesantemente in volto, quasi grigio, con gli zigomi colorati di rosso, mentre una ingenua Giulietta balzella con un enorme fiore in mano.
“Io ho bisogno di dar vita a un sogno! Io sono l’ultimo poeta!”, con queste battute declamate ridendo ad alta voce, che accompagnano ogni stoccata, i duellanti conducono il pubblico nello spazio “Artaud”, un cortile esterno normalmente adibito a campo da calcetto.
Le note roboanti di “Montecchi e Capuleti” di Sergej Prokofiev fanno da tappeto sonoro all’infinito duello. Nel frattempo una schiera di attori costruisce la suggestiva scena, formata da un collage di altissimi fondali raffiguranti immagini di palazzi e piazze di Volterra. A terra mazzi di rose rosse simboleggiano il sangue versato dalla ferita mortale inflitta a Mercuzio, che contro ogni destino resiste in vita. Come in un enorme freeze, che blocca tutti gli attori-detenuti in abiti celesti, dai quali spiccano dipinti di mura, colonne, facciate di palazzi e di chiese, in una posa agghiacciante a bocca socchiusa con i palmi delle mani aperti, a mostrare il sangue della vittima. Ad un tratto fa il suo passaggio in scena un uomo con la valigia, che immaginiamo piena di sogni, ovvero Maurizio Rippa, che con la sua splendida voce canta una struggente melodia, dopodichè il pubblico itinerante è portato ad entrare all’interno delle stanze del carcere, in “Casa Capuleti”, dove lo spettacolo prosegue.
Là i frammenti di testo della tragedia shakespeariana escono dalle bocche dei detenuti, sparsi per corridoi e stanze completamente ricoperte dalle stesse immagini scenografiche dei pannelli esterni.
Par d’essere finiti in un affollato e caldo girone infernale, con diavoli, canti, grida e danze che raccontano stralci di storie e frammenti di emozioni.
Il caos finisce quando Punzo-Mercuzio con un coltello piantato nella schiena richiama tutti nuovamente all’esterno, dove sui versi del Bardo conclude la performance delirante, con immagini di bambini che urlano di gioia, palloncini colorati e scenografie-mura che cadono, un intreccio di allegorie evocanti gioia, speranza, libertà.
Il progetto di quest’anno della Compagnia della Fortezza ruota attorno al perché lo “spirito libero” della storia di William Shakespeare, il poeta, si è arreso alla realtà? Perché ha smesso di sognare? Perché non è riuscito a staccarsi dalla tragedia della quotidianità?
Dietro la morte di Mercuzio c’è la morte del mondo della cultura, degli artisti, dei poeti, degli intellettuali. Armando Punzo e i suoi attori vogliono opporsi e resistere alla morte dei sogni e delle speranze. C’è bisogno di continuare a sognare. Per questo Punzo, ancora con il fiato in gola per la fatica appena conclusa, al termine dello spettacolo fa un richiamo al pubblico, per raccontare che quello a cui abbiamo assistito non è che un “bozzetto vivente” di un’idea più ampia, che mira ad uscire oltre i confini del carcere, investendo tutta la città, nell’ambito di un progetto che porterà alla produzione di una fiction proprio sulla Compagnia della Fortezza. Mercuzio non è morto dunque, la lotta continua, nonostante il budget meschino di 3.000 euro per la messinscena dello spettacolo. E conclude Punzo, chiedendo a gran voce un teatro.
La prima fase del lavoro prodotto dal gruppo cerca di ricalcare le orme di Hamlice, trovando ancora poco equilibrio e molta confusione tra le varie idee proposte, alcune di esse veri punti di domanda irrisolti. Il caos è dovuto soprattutto allo spazio ristretto all’interno del carcere e alla folla di persone che non permetteva di seguire agilmente gli intrecci della narrazione. Nonostante questo, si intravedono buoni spiragli per una stesura lineare e più comprensibile del lavoro. Punti di forza già efficaci sono i trucchi, i vestiti, le scenografie mobili, e le ancora abbozzate scene corali, forza motrice e propulsiva di emozioni, nonché la passione, il sudore e l’anima che Armando Punzo generosamente concede da anni.
Usciamo da questa pièce certi: l’arte, la cultura, il teatro continueranno imperterriti a cadere, con un coltello conficcato nella schiena da un’orda di figure pietrificate, immobili, con mani insanguinate, ma ostinati riusciranno sempre a rialzare la testa, e continueranno a battersi, fino all’ultimo respiro, perché Mercuzio, il sogno, la cultura, il teatro, devono vivere.