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Il mio tempo non è quello del debutto

[rating=1] Esistono spettacoli che vincono la polvere del tempo, sopravvivendo vividi per anni nel ricordo di un gesto, uno sguardo, un’emozione. Rileggerli nello scritto di una recensione ha il potere di farli tornare in vita, per un attimo, nel teatro della mente.
Altre performance invece, possiedono un potere antitetico e pruriginoso. Come per una brutta sbronza, spinti dal desiderio di dimenticare, annegano istintivamente nel buio più profondo: per loro nessun appello o replica sul grande palco della memoria.

Curioso come a distanza di circa un anno, lo stesso regista sia riuscito ad attraversare con la sua compagnia questi due estremi. Si tratta del giovane Takahiro Fujita e della giapponese Mum&Gypsy.

Se da un lato Dots Lines and the Cube formed (leggi la recensione) si trova in una playlist di indimenticabili, l’ultimo Il mio tempo – Different Shape presentato in prima nazionale al Teatro Era di Pontedera Centro per la ricerca e la sperimentazione teatrale, si è rivelato ancora inconsistente (sia di ricerca che di sperimentazione) da approdare così nel versante opposto.

La causa di questa impensabile caduta è da ricercarsi sicuramente, come spiega prima dello spettacolo la giovane manager della compagnia nipponica (mettendo le piccole “mani avanti”), nel tempo ridotto a disposizione della compagnia (circa 10 giorni) per l’allestimento. Curioso. È un po’ come andare ad un esame e prima di sedersi, spiegare al professore di non aver avuto molto tempo per studiare, implorando pietà e confidando nella benevolenza del docente.

Ciò non toglie che presentare uno spettacolo ancora work in progress e privo di conclusione come prima nazionale, non è il massimo dei biglietti da visita. Forse sarebbe valsa la pena tutelare attori e pubblico con la semplice dicitura di “primo studio”.

Veniamo alla performance Il mio tempo – Different Shape, che vede l’unione di quattro giovani attori italiani provenienti da esperienze formative con Fujita, a quattro membri stabili dei Mum&Gypsy.
Lo spettacolo vuole esplorare e porre domande sulla frenetica realtà in cui viviamo, il nostro tempo, mediante un susseguirsi di memorie sceniche (attinte dalla vita reale degli attori) all’interno di un hotel, che ne dipanano la narrazione e i legami che si instaurano tra i suoi inquilini.

“Il mio tempo…dove sarà?…Stò mangiando. Perché?…Dove?”. Come per Dots Lines and the Cube formed, continui flashback spostano i personaggi da un luogo all’altro dell’hotel: check-in, ascensore, camera, scantinato, cucina, etc. Stanze dentro le quali si compiono azioni dell’ordinario, piccoli momenti d’incontro affollati da inquietanti punti di domanda.

Il mio tempo – Different Shape - Mum&Gypsy

La regia di Fujita risulta ancora acerba e poco fluida, brancola come il sottofondo musicale da una traccia all’altra senza fermezza e si ripercuote sullo spettacolo, con persistenti ripetizioni, movimenti scenici da oliare e la necessità primaria di bilanciare due registri di recitazione al momento distanti anni luce, con il minimalismo e il candore dei nipponici che urta drasticamente con i cliché smaccati degli attori italiani.

Poche per ora le trovate e le idee, molte ripescano nel già visto e la mancanza del finale fa presupporre che tutto è ancora fortemente in divenire e non può che portare alla luce qualcosa di più incisivo. Interessante e da sviluppare la commistione tra linguaggi, giapponese e italiano, che in alcuni punti emerge facendo intravedere una possibile “differente forma” tutta da costruire.

Il mio tempo – Different Shape ad oggi è questo, una traccia di performance frammentaria, da rivedere quando sarà giunto il tempo del vero debutto.

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