[rating=5] Per chi crede che il teatro giapponese sia rimasto ancorato alle scene tradizionali del Kabuki, il consiglio è di assistere allo spettacolo “Dots and lines, and the cube formed. The many different worlds inside. And light” dei Mum&Gypsy, per ravvedersi e aggiornarsi sulla nuova generazione teatrale proveniente dal Sol Levante.
Il gruppo dei Mum&Gypsy è nato nel 2007 e diretto da Takashiro Fujita, giovane regista esponente della corrente della “zero generation”: un insieme di registi e scrittori nipponici influenzati dalle ricerche di Oriza Hirata, sul restituire in scena la lingua reale mediante racconti del quotidiano. Una generazione zero che condivide il medesimo habitat sociale, dal crollo dell’economia nazionale al terremoto-maremoto del 2011, che portò al disastro della centrale nucleare di Fukushima, e i medesimi obbiettivi riformatori.
Lo spettacolo, arrivato in Toscana in prima assoluta nell’edizione 2013 di Fabbrica Europa, è tornato (profondamente perfezionato) dopo un anno al Teatro Era di Pontedera, segnando l’inizio di una nuova tournée europea della compagnia di Tokyo.
Lo stile drammaturgico e registico del ventinovenne Fujita, definito da El Pais “Un genio del giovane teatro giapponese”, è quello di portare sulla scena la vita reale mediante un intreccio di ripetizioni e sovrapposizioni di linee narrative coinvolgenti parole, azioni e musica. Anche in “Dots and lines, and the cube formed” i racconti si intersecano conducendo lo spettatore ad un cambio repentino di prospettiva spazio-temporale.
“Punti, linee e il cubo che si forma. I molti mondi diversi dentro. E la luce.” La traduzione di un titolo tanto evocativo quanto autentico, che non si rifà a forme geometriche, ma all’architettura naturale dell’essere umano, con attigue relazioni, scelte, cambi di vita, incontri e addii.
La storia racchiude in sé vari episodi che ruotano attorno ad Aya, una giovane ragazza giapponese giunta all’ultimo anno di scuola media, che decide di abbandonare studi, famiglia e amici per andare a vivere da sola in una tenda all’interno di un bosco lontano dalla città. Uno scenario ameno e naturalistico, dove si è compiuto un raccapricciante e inquietante crimine di infanticidio realmente accaduto, e che nel 2001 sconvolse il Giappone. Il racconto passa dalle testimonianze sovrapposte degli amici di Aya, che dieci anni dopo, nel 2011, si trovano a ricordare e rivivere attraverso continui flashback, una storia avvolta dalla nebbia rarefatta della memoria, che ritorna delicatamente alla luce.
Le date del 2001, anno dell’uccisione della bambina e della caduta delle torri gemelle, e del 2011, anno del disastroso terremoto giapponese, sono i due punti focali e reali, sui quali Takashiro Fujita, parafrasandone il titolo dell’opera, traccia la linea della narrazione, costruendovi sopra il cubo del teatro e della minimalista messinscena.
Uno spettacolo quello di Fujita, fatto di dialoghi sfuggenti, che corrono a ritmi turbinanti, dove le azioni si fondono l’una nell’altra e le ripetizioni fanno da eco alle emozioni, divenendo leit motiv di una memoria fluida e del suo scorrere nel tempo, fino agli argini dei ricordi.
Una regia innovativa e duttile, ricca di trovate sceniche che implicano riprese e proiezioni video, ottimizzando l’uso della scena, del sonoro e dei suoi elementi essenziali, con al centro la tenda da campeggio di Aya.
I sei giovani attori della compagnia dei Mum&Gypsy, tutti in tenuta da escursione, sembrano usciti da un film d’animazione di Miyazaki, tant’è la freschezza dei loro volti e l’energia che irradiano i loro mobili corpi, in un’eccellente performance corale. Instancabili e accordati come un’orchestra d’archi, eseguono alla perfezione (da veri giapponesi) la partitura registica per tutta l’ora e venti della rappresentazione.
“Dots and lines, and the cube formed”, nonostante le difficoltà esterne dovute ai sopratitoli uniti al ritmo elevato, riesce a catturare lo spettatore con un linguaggio e un’esposizione inaspettata, travolgente ed emozionante, tratteggiata da “punti” umoristici e drammatici, uniti da sottili “linee” di autentica poesia orientale.