[rating=5] Con Pirandello la novella diviene ancora di più un estratto concentrato e compresso del reale, in cui in poco spazio si celano milioni di pensieri saporiti, iper-calorici, che nel metro quadro concesso spiccano. Come un vino ben fermentato, “Il giuoco delle parti” messo in scena al teatro Manzoni di Pistoia dà alla testa, con dialoghi vertiginosi tramandati con semplice enfasi da Umberto Orsini e dagli attori del cast. Una scenografia lineare incornicia il palco e si erge su tutto con una grata di finestre che domina, quasi schiaccia i personaggi. Le luci e le aperture meccaniche si combinano per rendere il cambio degli ambienti, dall’ospedale psichiatrico agli interni di due case.
Il protagonista, un uomo di nome Leone Gala (U. Orsini), è in scena su una sedia a rotelle quando il sipario si apre. La profonda voce registrata di Orsini evoca gli eventi di molti anni prima, poi una donna in abito da sposa irrompe in scena, preparando il terreno alla rievocazione di quel fatale 1918.
Siamo in Sicilia. Si scopre che Gala frequenta la casa della moglie solo mezz’ora ogni sera, mentre lei passa con l’amante il resto del tempo. L’incontro tra il marito e l’amante è la scintilla che scatena una scena di teatro da brividi. Le parole del testo sono di per sè un intrigo di pensieri sulla condizione oscura, assurda, inaggiustabile dei rapporti umani. I due attori prendono il dialogo, lo sverniciano, lo interiorizzano, lo restituiscono al pubblico con pochi gesti, sonorità incalzanti, ironia. Si segue con un leggero fremito lo scontro, anche divertente, tra un siciliano attaccato alle pulsioni, alla carne, alla parte visibile del mondo e un uomo che si interroga su tutto, intrappolato in un carcere di pensieri sull’esistenza, ormai distante dalle passioni, dalle emozioni.
L’amante è soncertato, Gala filosofeggia, insensibile alla gelosia, la moglie si annoia perchè troppo libera. Le scene si spostano continuamente in avanti, quando Gala vive di allucinazioni nell’ospedale psichiatrico, tentando in tutti i modi di ripercorrere quegli attimi, quando alle richieste della moglie di battersi in duello con un conte che a sua detta l’ha oltraggiata scambiandola per una prostituta, lui acconsente. Se la parte che gli era stata assegnata nel gioco della vita Gala l’aveva assimilata e ci si era barricato, nel finale ribalta la situazione svegliandosi dalla sua passività. Egli spinge, convince, forza l’amante ad andare al duello, in cui l’uomo morirà. Allo spettatore resta, come sempre di fronte a un’opera di Pirandello, la violenza del dubbio, non tanto sulla trama, quanto sulle dinamiche psicologiche, su quell’attimo di crisi che attraversa Gala, per non abbandonarlo mai più.
Al momento degli applausi il pubblico del Manzoni è in delirio. La matassa emotiva trasmessa dalla compagnia durante lo spettacolo è visibile, attraversa le poltroncine di velluto, si tocca con mano. Tutta la tensione e la stupenda, sottile comicità che la regia e gli interpreti hanno regalato, rendono giustizia al mondo del teatro contemporaneo, troppo spesso sbeffeggiato da spettacoli-macigno che non fanno bene a nessuno. Orsini e gli altri attori non sono ombre di loro stessi, ma pesi lievi, che ci fanno vivere in corsia di sorpasso per un’ora e mezzo indimenticabile.