Recensire i Familie Flöz o Familie Floez, come dir e scriver si voglia, non può che rivelarsi un piacere. Seguo da diversi anni questo ensemble in giro per i palchi dello stivale e posso dire di aver visto almeno il 50% dei loro spettacoli. Ahimè mi sfuggirono i primissimi, perché negli anni ’90 ero infanta, ma adesso basta scrivere come Di Giammarco. Un inchino e mi congedo dal maestro. È tempo di “Feste“. Una festa appunto, per la precisione quella di un matrimonio, che si consuma tutta nel cortile di una villa affacciata sul mare, location dello sposalizio.
È qui che si alternano le vite tanto degli sposi, della loro famiglia, che del custode, della donna delle pulizie, dei camerieri e del personale cosiddetto “di sala”. Tutto è frenetico e continuo, finché una donna senza più niente al mondo, offrirà a tutti una lezione di vita. E non solo. Ecco in estrema sintesi la “trama” di Feste, andato in scena al Sala Umberto di Roma dal 2 al 6 gennaio 2025. Parlare di trame tuttavia, quando fra le assi del palco si muovono i Familie Flöz è francamente riduttivo. Le loro sono esperienze performative, che riescono sempre a regalare agli adulti le emozioni di una favola muta.
Ma non è tutto rosa è fiori, anzi. C’è spazio sempre per profonde riflessioni all’interno dei loro spettacoli, che si propongono tutti come parabole umane in cui lo spettatore è chiamato in qualche modo a specchiarsi. E non è cosa scontata, dal momento che si tratta di rappresentazioni senza linguaggio. Talvolta in effetti, specie di questi tempi oscuri, sembriamo sprecarne parecchie di parole e allora “l’economia” di questa bizzarra famiglia, può in fondo tornarci “utile”.
È a mio avviso la scoperta o riscoperta della preziosità del gesto ad accompagnare infatti il pubblico in un viaggio tenero e divertente, dove l’attenzione sale, sale sempre, proprio perché non c’è audio (almeno quello di parola). I Familie Flöz nati 30 anni fa in quel di Essen in Germania, hanno d’altro canto costruito la loro “good reputation”, per usare un altro termine di respiro economico, proprio sul mancato utilizzo della voce. Anche in Feste il dialogo lascia così il passo alla mimica, spesso anche divertentissima, sulla falsariga dello slapstick alla Chaplin o Keaton.

Il risultato è incredibile. Al punto che si fatica perfino a separare i talenti per incensare a dovere la regia di Michael Vogel, la musica (sì quella c’è) di Maraike Brüning e Benjamin Reber, le scene di Felix Nolze e Rotes Pferd, le luci di Reinhard Hubert, i costumi di Mascha Schubert e soprattutto le maschere di Hajo Schüler, che raccolgono la felice eredità del maestro Amleto Sartori.
Poi certo ci sono loro: Andres Angulo, Johannes Stubenvoll, Thomas van Ouwerkerk tre magnifici interpreti che si muovono con scioltezza e rapidità fulminea sulla scena, al punto che sembra davvero siano una compagnia di almeno 20 persone. Che spettacolo! Ma una parola (almeno la mia) va spesa anzitutto anche per gli autori. Feste è stato infatti progettato oltre che dai tre attori e dal regista, anche da Björn Leese e Johannes Stubenvoll. Sei teste niente male… E dire che invece quelle indossate in scena sono di gomma! Nella versione filmica di Fleming del ’39, il buon Spaventapasseri del Mago di Oz dichiarava che “un mucchio di gente parla senza avere il cervello”. Coi Familie Flöz allora deve essere vero il contrario.
Questo gruppo incredibile che ai primordi provava in una vecchia fabbrica di carbone e come non poteva esserci della poesia pure nella loro bio? Continua ad essere per me e molti altri (per fortuna) un immancabile appuntamento, ormai mi basta leggere il loro nome su una locandina e sapere null’altro per decidere di vederli. Questa volta però al Sala Umberto ho osato anche di più.
A riprova posso portare la mia minuta testimonianza. Ho visto lo spettacolo con mio padre, che diciamo nella sua vita non è stato avvezzo a frequentare teatri e non è persona facile alla risata. Alla fine dello spettacolo anche un po’ timorosa gli ho chiesto: Allora ti è piaciuto? In quel momento ho visto spalancarsi un grande sorriso di bambino, pieno di divertimento ed emozione nel rispondermi: “Tanto!”
Non è forse questa quella che chiamano la magia del teatro?