Il Teatro Verdi di Pisa mette in scena una vera rarità per l’inaugurazione della nuova stagione lirica 2019-2020, scelta premiata con un indiscusso successo di pubblico: L’empio punito di Alessandro Melani.
L’opera, che si annovera come primo dramma in musica basato su questo soggetto che raggiungerà l’apice della sua fama con Mozart e il suo Don Giovanni, vide il suo debutto a Roma, nel privato Teatro Colonna, il 17 febbraio 1669 alla presenza della Regina Cristina di Svezia. La rappresentazione ebbe grande successo, come si evince dagli Avvisi dell’epoca, grazie alla ricchezza della messa in scena, alla qualità dei cantanti e all’alto rango del pubblico. Un aneddoto tra tutti: la Regina aveva vietato la presenza di donne tra il pubblico, così Maria Mancini (“la Contestabilessa”), moglie di Onofrio Colonna e in strettissimi rapporti con Atto Melani, fratello di Alessandro, sarà costretta ad assistere alla rappresentazione in incognito su un palchetto.
La famiglia Melani, di origine pistoiese, ovvero i fratelli musicisti Jacopo, compositore come Alessandro, e Atto, uno dei castrati più famosi del diciassettesimo secolo, oltre a informatore tra Italia e Francia, raggiunge la Capitale grazie all’elezione di Giulio Rospigliosi, anch’egli pistoiese, a papa Clemente IX nel 1667: Alessandro, infatti, nello stesso anno, fu nominato maestro di cappella della Basilica di Santa Maria Maggiore.

Il poeta e impresario Filippo Acciaiuoli, che scrisse insieme a Giovanni Filippo Apolloni il libretto de L’empio, era romano, ma visse per molti anni a Firenze: figura eclettica di poeta, impresario e viaggiatore, per il soggetto prese spunto da El burlador de Sevilla y convidado de piedra attribuito a Tirso de Molina.
L’opera, esordio operistico di Melani, ambientata in una cornice pseudo classica, mostra alcuni anacronismi, come il naufragio poco plausibile, visto che la città di Pella non è sul mare, e la presenza della pistola usata nel terzo atto dal re di Macedonia Atrace. Qui il “Don Giovanni” della situazione è Acrimante, cugino del re di Corinto e il suo servo è Bibi. In un susseguirsi di scene ora esilaranti e spassose ora drammatiche, con sezioni ariose che spesso interrompono il recitativo in stile sillabico rompendo l’usuale successione regolare barocca di arie e recitativi, il pathos culminerà nel drammatico epilogo infermale ben conosciuto.
Il regista Jacopo Spirei mantiene quello stupore tipicamente barocco, con scene dipinte, ora surreali e grottesche che prendono spunto dalle animazioni di Terry Gilliam nei Monty Python, come mani e piedi bidimensionali e giganteschi, ritagliati da bozzetti d’epoca, che entrano improvvisamente sulla scena indicando personaggi e azioni, o ancora l’immenso ventaglio dove il povero Bibi imbracato tenta di arrampicarsi per raggiungere la sua Delfa, a cui lega una sensibilità tutta contemporanea fatta di tratti minimal e colori pop. Il tutto è ben supportato dalle luci ideate da Fiammetta Baldiserri e dallo scenografo e costumista Mauro Tinti, che alterna sgargianti vestiti barocchi a costumi punk e succinti abiti moderni, i cui contrasti si rifanno a quegli stessi tratti distintivi dell’opera, in bilico tra comicità e drammaticità.
Ottima prova per il giovane cast: lo scanzonato Acrimante di Raffaele Pe, corrispettivo di Don Giovanni, che esibisce una voce ampia dal fresco timbro ed una disinvolta presenza scenica, che lo guiderà dritto negli inferi. Sua spalla è Bibi, il baritono Giorgio Celenza dalla buona espressività attoriale anche in situazioni estreme come imbracato ed in volo instabile. Ottima prova per Atamira di Raffaella Milanesi, Donna Elvira ante litteram, che raggiunge l’apice del pathos alla fine della quinta scena con l’aria Piangete occhi piangete ed un’intensa interpretazione. Ipomene è Roberta Invernizzi, dal timbro chiaro e dalla presenza leggiadra, affiancata dalla vecchia serva en travesti, Delfa, interpretata da un esilarante Alberto Allegrezza, in minigonna, tacchi e parrucca bionda, davvero irresistibile.
A loro si affiancano i giovani cantanti vincitori del bando “Accademia barocca”, ovvero il sopranista Federico Fiorio (candido Cloridoro), Lorenzo Barbieri (statuario Atrace), Piersilvio De Santis (Niceste, Capitano della nave, Demone e Caronte), Benedetta Gaggioli (Auretta e Proserpina), Shaked Evron (Corimbo), Carlos Negrin Lopez (Tidemoche), anche se a tratti un po’ acerbi, hanno dato vita a buone interpretazioni.
Buona l’esecuzione dell’orchestra Auser Musici, guidati da Carlo Ipata, che ha suonato con rigore riproponendo in modo fedele la partitura, rischiando però in alcuni momenti di perdere la forza espressiva e quel pathos che il testo richiedeva.
Il pubblico ha saputo premiare lo sforzo di una tale messa in scena, accogliendo con lunghi e meritati applausi la scelta coraggiosa del direttore artistico della stagione lirica Stefano Vizioli.