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Sobrietà e potenza inaugurano il 76° Festival del Maggio Musicale Fiorentino con il “Don Carlo” di Verdi

Un Don Carlo sobriamente in forma di concerto ma tuttavia capace di mettere in luce tutta la potenza della partitura verdiana ha inaugurato il 2 maggio il 76° Festival del Maggio Musicale Fiorentino, ad ottant’ anni dalla prima edizione del 1933.

L’opera, originalmente Don Carlos, su libretto di Joseph Méry e Camille du Locle, fu rappresentata per la prima volta, in cinque atti e in lingua francese, l’11 marzo 1867 al Théâtre de l’Académie Impériale de Musique di Parigi. In seguito fu tradotta in italiano da Achille de Lauzières e rimaneggiata a più riprese. Giuseppe Verdi iniziò a comporre il Don Carlos nel 1866, anche se il soggetto di Shiller gli era già stato proposto da Alphonse Royer e Gustav Vaez nel 1850, ma inutilmente. Numerose vicissitudini bloccarono la stesura del gran opéra, a partire dai moti della Terza Guerra d’Indipendenza che scossero l’Italia, fino ai numerosi lutti familiari durante le fasi dei molteplici rimaneggiamenti: prima la morte del padre del maestro, poi quella del suocero Barezzi. «I dolori si succedono ai dolori con una rapidità spaventosa!», scrisse Verdi in una lettera al Conte Opprandino Arrivabene. Fino alla triste notizia dell’attacco di apoplessia che colpì l’amico librettista Francesco Maria Piave, la cui felice collaborazione aveva portato alla stesura di ben 10 opere. E la prima parigina non riscosse il successo sperato. Plurime rivisitazioni videro allora la luce, dalla prima versione in lingua italiana a Londra, all’eliminazione del primo atto del 1882 alla Scala di Milano, fino alla definitiva versione nuovamente in cinque atti del 1886 a Modena.

Il Don Carlo, con tutto il suo pesante fardello, mostra una straordinaria complessità di linguaggio musicale e drammatico: il conflitto creato dalla notevole serie di duetti che alimentano e muovono l’azione drammatica si rivela un mezzo efficacissimo d’espressione di tale linguaggio. Si tratta, infatti, di una creazione il cui punto di partenza fu la Parigi cosmopolita della metà del XIX secolo.

«Mai Verdi si è tanto inoltrato nell’esplorazione dei misteri più sottili dell’anima, come nella descrizione dell’amore colpevole e soffocato tra Don Carlo e la giovane matrigna», per citare Massimo Mila.

E l’essenza ridotta all’osso della grandiosità di quest’opera scoppia roboante sul palco del Comunale insieme all’applauso per il rinnovato, emozionato, appello del maestro Zubin Mehta: «Siamo in questa situazione oggi, ma vi prometto che con la potenza della musica di questa sera e in futuro noi vinceremo questa battaglia. (…) Non lasciateci morire».

Viva commozione si percepisce nell’aria, mentre l’orchestra supera se stessa sotto la vibrante direzione del Maestro Zubin Mehta ed il coro dà forza al potere della musica verdiana sotto la guida del Maestro Lorenzo Fratini che ne fa una massa compatta e potente.

Bella prova per Dmitry Beloselskiy nei panni di un maestoso, crudele eppur umano e nobile Filippo II, nel suo canto generoso e sicuro che ha emozionato specialmente durante la celeberrima aria “Ella giammai m’amò” del IV atto, tra attimi d’esitazione studiata e la voce profonda e drammatica. Ottima per splendore di voce, semplicità di stile e intensità d’espressione Ekaterina Gubanova, Principessa di Eboli dall’animo traboccante nella calda e piena aria d’uscita, ovvero la virtuosistica Canzone del Velo, creatura fatale nella sua gelosia. Buona anche se non eccezionale l’interpretazione di Kristin Lewis, un’Elisabetta un po’ fredda e vocalmente poco coinvolgente; decisamente non soddisfa il protagonista dell’opera, Massimo Giordano, Don Carlo tirato, dalla voce strozzata e urlata nei registri acuti.

Un’opera d’altro canto che cattura tutti indistintamente, ottenendo applausi a scena aperta e numerose chiamate soprattutto al direttore d’orchestra, che non riesce a nascondere la commozione per la contingente difficoltà del momento. E come Verdi “Diede una voce alle speranze e ai lutti. Pianse ed amò per tutti” (D’Annunzio),  si ha la sensazione di uscire da un tale ascolto “più piccoli e più grandi a un tempo. Più grandi, con emozioni nuove, orizzonti aperti, vampe d’eroismo; più piccoli, perché ci si è misurati con il genio”, proprio come afferma un giornalista del Figaro del 1867.

Ed è con questa sensazione, che auspichiamo essersi insinuata anche tra le celebrità della serata, quali il Ministro per la cultura Massimo Bray ed il sindaco Matteo Renzi, auguriamo al Maggio di vincere la sua battaglia.

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