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Song Of Silence: quando il potere dell’immagine seduce

[rating=5] Il 26 maggio 2014 è stato presentato per la prima volta a Roma, presso il Cinema Aquila, il toccante e splendido lavoro del regista Chen Zhuo verrà distribuito in circa 30 sale a partire da oggi.

La protagonista, Jing Zhaoyang (interpretata da Yin Yaning) è un’adolescente sordomuta, figlia di genitori separati, che abita in un villaggio di pescatori con il nonno e lo zio perché non vuole vivere con la madre e il suo amante. A causa del suo handicap e delle prese in giro dei suoi compagni di scuola, la giovane trascura gli studi e cerca costantemente rifugio dal giovane zio (Yu Xuan), l’unica persona che riesce a farla sentire amata. Nel frattempo, suo padre, Zhou Zhaoyang (Li Qiang), ufficiale di polizia, si è rifatto una vita in città con Mei (Wu Bingbin), una giovane cantante che si esibisce nei locali ed è sempre alla ricerca di soldi per soddisfare i suoi desideri.

Quando il rapporto fra Jing e suo zio finisce per oltrepassare i limiti della moralità, la ragazza è costretta a trasferirsi in città proprio da suo padre, il quale si adopera per cercare una scuola speciale dove si istruiscono i ragazzi sordomuti. L’ambiente ostile e la convivenza forzata con Mei generano diffidenza e ostilità, che spesso sfocia in violenti scontri fra le due donne. Con il tempo, però, esse imparano a conoscersi e a comprendersi, generando una nuova armonia che contagia anche Zhou, il quale riscopre l’amore per la figlia, prendendosi cura di lei dopo un aborto spontaneo causato dall’incestuosa relazione con lo zio.

Song Of Silence

Il lungometraggio, della durata di 114’, è tratto da una storia vera e rivela uno sguardo estremamente sensibile su argomenti molto delicati, fra cui l’aborto e l’incesto. Come ha spiegato il regista Chen Zhuo, “Parte della storia di Song of Silence proviene dalla realtà. Ho impiegato un anno a scrivere la sceneggiatura e questo è il mio primo film. Racchiude temi come l’amore, le responsabilità sociali, la perdita degli affetti e degli ideali nell’era del cambiamento e della dislocazione, ma non vi è un tono cupo o negativo: per descrivere il dolore ho scelto un’atmosfera tranquilla. Penso che il grigio sia il colore perfetto per definire il film”.

La lunga e meticolosa preparazione perseguita dalla troupe (le riprese sono iniziate nel 2011 per durare circa un anno) ha così generato un’opera concentrata su due nuclei centrali, che si cercano e si completano pur differenziandosi nello stesso tempo: il silenzio di Jing e il canto di Mei. Se, nelle intenzioni di Chen, il primo rappresenta la pazienza e il perdono, il secondo simboleggia la rottura e la rinascita continua di una nuova personalità, che cerca continuamente di mutare pur tenendo vivo il ricordo di ciò che è stata. La stessa struttura narrativa del film è frutto di continue mutazioni: la sceneggiatura definitiva è stata licenziata dopo nove mesi e oltre venti versioni diverse fra loro.

Un esempio concreto si può trovare nell’inquadratura finale, con la festa delle barche-drago (ricorrenza tipica della Cina meridionale) che simboleggia il nuovo anno: un cambiamento, dunque, non solo in ambito temporale ma anche in quello emotivo-personale. Nasce un nuovo anno, nascono nuovi rapporti, in cui la conflittualità lascia spazio alla complicità, all’amore e alla comprensione.

Così Chen: “Non mi sono dato un obiettivo preciso da raggiungere, sicuramente essendo il mio primo film ho guardato a quella che è la realtà familiare e quotidiana che ho vissuto sino a oggi, non a caso ho scelto di ambientarlo nel mio paese natale. Ho guardato al contesto sociale contemporaneo cinese, allo scollamento tra realtà e ideali”.

Un’opera prima proveniente da un regista che non proviene da una classica formazione cinematografica: Chen – laureato in Architettura – è un designer e proviene infatti dalle arti figurative digitali, con lavori esposti in moltissimi eventi in Cina e nel resto del mondo. Dal 2010 è socio fondatore della Beijing Tiger Entertainment & Media, grazie alla quale realizza due anni dopo Song of Silence, del quale – oltre alla regia – ha steso la sceneggiatura e completato lui stesso il montaggio e gli effetti digitali in post-produzione: un lavoro artigianale che ha prodotto uno stile narrativo estremamente denso e compatto, dove i dialoghi sono ridotti al minimo essenziale, in quanto sono le immagini il vero punto di forza. Da tale punto di vista, potrebbe venirci in mente la lezione kubrickiana di 2001: A Space Odyssey (“le immagini dicono tutto”). Ma solo per questo: nessuno stilema occidentale, infatti, v’è stato adottato.

In questo modo, infatti, il regista è totalmente libero di esprimere ciò ch’egli sente urgentemente il bisogno di raccontare, scandendo per ogni inquadratura il suo esatto risvolto emozionale nel quale lo spettatore non può fare a meno di auto coinvolgersi.

Song of Silence viene distribuito nel nostro Paese (in lingua originale con sottotitoli in italiano) da Distribuzione Indipendente, il cui presidente, Giovanni Costantino, si è detto particolarmente soddisfatto di averlo in catalogo: “C’è anche un po’ d’Italia in quest’opera, grazie al produttore esecutivo Gianluigi Perrone”, ha spiegato. “Il film uscirà in 28 schermi italiani, fra circuiti off e classici. Quanto alle sale classiche, esse saranno Firenze, Trieste, Roma e Pescara. Poche sale mirate, ma che saranno il punto di partenza per la sua graduale diffusione. Abbiamo scelto così perché non avendo la potenza commerciale delle grandi case di distribuzione occidentali, iniziamo per forza con una base ristretta ma che punta ad allargarsi in maniera graduale. Ciò è dovuto in parte al fatto che molti esercenti non sono pronti per tale operazione, specialmente nei confronti dei film sottotitolati c’è ancora molta diffidenza”. Secondo Costantino, “occorre colmare questo gap tra il settore indipendente italiano e quello internazionale. Noi di Distribuzione Indipendente cerchiamo di essere una palestra per i giovani che vogliono fare cinema. All’Italia non manca nulla: ci sono degli ottimi autori, anche gente che ritiene di avere del talento, l’importante è che il talento venga focalizzato sul voler ‘fare un bel film’. Ma non è solo questo: il segreto è il non cercare di affascinare troppo, il non voler accontentare tutti, perché è impossibile”.

Merito della realizzazione di Song of Silence va anche al produttore esecutivo Gianluigi Perrone. Giornalista e sceneggiatore, lavora in Cina dal 2006, collaborando con alcune tra le principali produzioni indipendenti di Pechino, quali Gago Media, Heaven Pictures e – appunto – Beijing Tiger Entertainment. Grazie al paziente lavoro di Perrone e del produttore cinese Wu Jing (anch’essa originaria dello Hunan come il regista), si è riusciti ad ottenere il visto censura su territorio cinese per temi molto complessi come quelli narrati nel film. Lo stesso Perrone ne esalta la funzione commerciale anche sul piano degli scambi culturali fra Italia e Cina: “Da tempo il nostro Paese ha aperto le porte alla Cina, ciò che noi nel nostro piccolo stiamo facendo è quello che fa anche il mondo intero: arrivare al pubblico cinese. Il punto primo che bisogna trovare fra noi e loro, è la comunione di anime: ciò che è semplice, che arriva dal cuore”.

Sempre secondo Perrone, “Song of Silence va studiato: bisogna coglierne ogni singola sfaccettatura, poiché si tratta di un lungometraggio squisitamente cinese. Noi non possiamo leggerlo con gli occhi occidentali, e nemmeno i cinesi che non vivono nello Hunan potrebbero far meglio: ma le scene sono semplicissime, come quella dei disegni col rossetto. E’ proprio ciò che intendiamo fare quando si sviluppano le sceneggiature: cercare di esprimersi con un linguaggio il più possibile universale, che arrivi al pubblico in questo caso italiano, non so se in poco o in molto tempo, ma è questo il modo giusto per farlo”.

Lo scambio Cina-Italia si basa anche sulla ricerca metodologica: se il montaggio di Song of Silence ha richiesto quasi un anno (come detto, se ne occupava lo stesso Chen Zhuo), per il prossimo film “ho suggerito di prendere un montatore e fargli montare le scene mentre queste vengono girate. Ecco, noi occidentali possiamo portare qualcosa in termini di ottimizzazione metodologica, senza tuttavia snaturare l’impianto della narrazione, che è e deve restare cinese. Ad ogni modo, posso anticipare che il nostro prossimo film si riallaccerà alla tradizione italiana, e sarà divertente vedere come un modo di pensare, di vedere italiano verrà interpretato e riletto con gli occhi di un Paese come la Cina”.

Il film è distribuito in lingua originale con sottotitoli in italiano.

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