Home Cinema Saving Mr. Banks di John Lee Hancock

Saving Mr. Banks di John Lee Hancock

[rating=4] “Vento dall’est. La nebbia è là, qualcosa di strano fra poco accadrà. Troppo difficile capire cos’è, ma penso che un ospite arrivi per me“. Le parole le ricordiamo tutti: sono quelle del capolavoro della Disney Mary Poppins, che proprio quest’anno compie la bellezza di 50 anni. Ma come è nata una pellicola capace di incantare generazioni di bambini? È questa la domanda di partenza di Saving Mr. Banks, che mescola sapientemente l’intento celebrativo (commedia) con quello didascalico (drammatico-biografico) di mostrare i retroscena di una storia che non conosciamo fino in fondo. Con la giusta, immancabile dose di sentimentalismo. Commovente, leggiadro e intenso, sconvolgente, luminoso, poetico di una poesia sofferta e morbida, che ti accarezza e poi fugge via, trasportata dal vento dell’Est. Già, il vento dell’Est. Lo stesso che 50 anni fa portò Mary Poppins in casa Banks, qui soffia sui ricordi della piccola Pamela Lyndon Travers, creando un ponte tra passato e presente. E con lo spettatore, il cui sguardo si fa testimone di una sinfonia dolce di carrelli e movimenti, di raccordi e transizioni fatti di giochi di fumo, luce e colore. Nella prima scena la cinepresa indugia tra le nuvole e poi scende su di noi (proprio come Mary Poppins) adagiata su note di pianoforte. Su di un prato luminosissimo ci viene presentato il legame “eterno” del film, che riannoda di tanto in tanto i fili narrativi dell’intera vicenda: quello tra Pamela e suo padre.

John Lee Hancock ha dimostrato una sagacia registica che pochi gli avrebbero attribuito, considerandolo un discreto sceneggiatore o poco più. Ma proprio quella sua capacità di strutturare con intelligenza narrativa film come Mezzanotte nel giardino del bene e del male e Un mondo perfetto, unita all’esperienza sul set di The Blind Side (che fruttò l’Oscar a Sandra Bullock) si è rivelata decisiva e addirittura vincente. Per non parlare poi dell’intuizione chiave alla base della storia: Mary Poppins non era venuta per i bambini, ma per salvare il papà. Succede quindi che l’appellativo Mr. Banks diventi la metafora scritta di tutti i personaggi del film, e più in generale di chiunque abbia bisogno di essere “salvato”, nel presente come nel passato. Ognuno ha il suo Mr. Banks da proteggere e riscattare, che a volte coincide con se stesso. Una continua offerta di salvezza, per tutti.

Saving Mr. Banks

Assieme a Mr. Banks viene salvato anche la speranza giocosa del sogno che è in ognuno di noi. Ma ci si arriva perdonando se stessi, come la signora Travers. O meglio la signora Goff. Perché Travers era il nome proprio di suo padre, interpretato da un meraviglioso Colin Farrell. È un film sulle promesse fatte ai figli, di padri premurosi e un po’ bambini. Il Walt Disney sornione e dal sorriso “sporco” interpretato da Tom Hanks sugli scudi – che aggiunge un altro grande personaggio alla sua già meritevole lista – vuole a tutti i costi mantenere la parola data alle sue figlie di mostrare le avventure della loro tata preferita sul grande schermo. Ma anche Pamela ha una promessa da mantenere, e anzi più di una. Con l’unica differenza che lei le ha fatte a se stessa, soffocata da una situazione infantile ancora irrisolta. Perché lei è una figlia. Suo padre era alcolizzato, e l’alcol gli stava facendo perdere tutto: moglie, casa, lavoro. Ecco quindi che la piccola Pamela si è ritrovata a rimettere insieme i pezzi (addirittura recuperando la madre in un fiume) di un’infanzia sognatrice e tragica, nella quale si davano le spalle ai problemi con una linguaccia e un sorriso. Nella rigida Pamela di oggi c’è qualcosa da riparare, qualcosa di molto simile a quell’aquilone che viene aggiustato nel finale di Mary Poppins. E in fondo anche nella vita del vecchio Walt c’era qualcosa di irrisolto, di doloroso che lo accomuna alla sua “socia” in affari. I due hanno però reagito in maniera opposta: lui ha esasperato la sua natura di sognatore, eterno bambino convinto che basti un sorriso e un pensiero felice da condividere col mondo per cancellare la tristezza; lei invece ha mutato la sua ingenuità magica a giocosa in un realismo cinico, che in un istante ha avvertito il peso di anni e anni di dolori repressi, taciuti. In comune avevano un sogno, un altro sogno da consegnare al pubblico. Qui, in particolare, Mr. Disney deve convincere l’autrice dei libri sulla tata volante a cedergli i diritti per il film.

La Pamela interpretata magnificamente da Emma Thompson si oppone tenacemente da quasi vent’anni all’idea di trasformare la sua amata creatura letteraria in degli “stupidi cartoni animati”. Nonostante sia in bolletta e abbia un carattere, come dire, scontroso e scostante (esasperato al limite della macchietta), l’autrice della governante più famosa del cinemondo accetta a malincuore di partire per gli Stati Uniti. Cresciuta in Australia dapprima in città, poi nei dintorni di campagne da spot della Mulino Bianco, con una mamma depressa e un papà ubriacone, ha scritto quei romanzi come una promessa di felicità mai mantenuta, come una medicina per il suo passato. Il corteggiamento di Walt a Pamela comincia con la partecipazione della donna alla stesura di scenografie, costumi e canzoni. Ogni dettaglio del film deve avere la sua approvazione. In fondo, si tratta dei suoi “figli”. Poi, tutto si trasforma in una prova d’amicizia tra la comprensione reciproca e la psicanalisi. E come sarebbe stato possibile non fidarsi di quello stesso Walt Disney, che nel 1928 si mise in proprio per non dividere i suoi sogni con chi voleva solo ricavarci denaro. Walt esce dalla solennità del suo mito e si mostra tormentato, proprio come Pamela. Entrambi avevano i propri Mr. Banks da salvare. E avevano l’occasione di salvarli sul grande schermo, mascherandoli con le fattezze ironiche e iconiche di Van Dyke.

Raramente il concetto di proprietà intellettuale è stato trattato con tale eleganza. Era difficile, difficilissimo anzi gestire una vicenda della quale l’esito era noto fin dalla prima scena. Tutto si giocava sul piano della storia, dell’evoluzione dei personaggi, dei risvolti narrativi. E indovinate, tutto ha funzionato alla perfezione. Viene fuori l’aspetto più poetico della costruzione di un impero da parte di un eterno bambino e della realizzazione di un film vivo e presente come le fotografie dei cari sul comodino. Da guardare, riguardare, spolverare con il dito e magari con un sorriso a labbra serrate. I flashback sono condotti con una perfezione stilistica e una freschezza di invenzione più uniche che rare. Il modo di trattare e restituire i dialoghi, poi, aderisce a una molteplicità di stili differenti: dialoghi brevi, sospirati nel silenzio, battute a effetto e gag (un po’ tirate in alcuni punti). Ma se è stato fatto un film in pieno stile Disney, allora è stato fatto un gran bel film in pieno stile Disney. Per un tipo di cinema ormai raro, semplice e diretto, reso straordinario dagli attori e dalla regia. E dalla colonna sonora, certo.

Le musiche che le voci di Julie Andrews e Dick Van Dyke hanno reso celeberrime ritornano intonate da B.J. Novak e Jason Schwartzman nel ruolo degli Sherman e Bradley Whitford in quello dello sceneggiatore Don DaGradi. Praticamente perfetto Paul Giamatti che torna a interpretare un ruolo da caratterista nei panni di Ralph, l’autista che scorrazza la Travers per Los Angeles. Tutti eccellenti nelle loro prove d’attore, capaci di conservare ognuno una propria caratterizzazione nonostante il loro ruolo attanziale primario fosse quello di “semplici” aiutanti, co-autori del sogno. Per la cronaca: la colonna sonora sui titoli di coda è la registrazione originale del dialogo tra Pamela e gli sceneggiatori.

Saving Mr. Banks è un film potente, ricco, magico. Perché il cinema è capace di raccontare i sogni senza spogliarli del loro incanto. Il tempo di riparare l’aquilone e via, con gli occhi pieni di cielo, un sorriso e una lacrima. Il tutto nel buio di una sala. Se non è magia questa…

NESSUN COMMENTO

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here

Exit mobile version
X