[rating=4] Mister Morgan’s Last Love per la regia di Sandra Nettelbeck è una vera e propria commedia romantica, una trasposizione cinematografica del romanzo La douceur assassine della scrittrice francese Françoise Dorner.
La cornice del film è costituita dalla nascita di una profonda amicizia tra Matthew Morgan, ex docente universitario americano di filosofia, e Pauline, una giovane ragazza francese, insegnante di cha-cha-cha. Mister Morgan, dopo aver praticato segretamente l’eutanasia a sua moglie che ha vissuto una lunga ed estenuante malattia, rimane vedovo a Parigi, nel quartiere di Saint Germain e con Pauline, conosciuta per caso sul bus, dopo una brusca frenata dell’autista, trascorrono insieme momenti davvero speciali tanto da riaccendere in lui un nuovo interesse per la vita. Ma la ritrovata quiete è solo apparente e momentanea. Per affogare la sua creduta e professata inadeguatezza nei rapporti col gentil sesso, dalla moglie fino a Pauline, Matthew si rifugia negli psico-farmaci e negli antidepressivi. Una dose eccessiva lo conduce dritto in ospedale.
Qui torna attuale il passato, i complessi meccanismi familiari. Arrivano i due figli e leggono l’idilliaca amicizia del padre come una nuova relazione con la giovane. Ma non è così. Matthew e Pauline danno le loro versioni ma nascono, comunque, scontri, litigi, discussioni, memorie e ricordi di quei momenti felici trascorsi con la moglie/madre; tornano in primo piano l’incapacità di mettersi in gioco, la mancata volontà di provare a cambiare qualcosa, i rimorsi di un’intera esistenza, così come tenerezze, sguardi reciproci, complici intese, amori e sentimenti.
Mentre la figlia dopo qualche giorno lascia questa irrisolta e complessa situazione parigina, volando nuovamente negli USA, il figlio Miles rimane. Incomprensioni e verità tenute nascoste finora vengono a galla grazie alla semplicità e all’onestà intellettuale di Pauline. Miles riesce a confidare al padre la sua situazione, la recente separazione dalla moglie, quei momenti di vita che molto spesso riflettono le decisioni dei genitori, i suoi sensi di colpa (uguali a quelli del padre) e, in ultimo, proprio sotto gli sguardi nascosti di quel padre, che proprio adesso sembrava esser riuscito a rinascere e riconquistarsi quegli attimi di preziosa felicità grazie alla dolcezza della giovane Pauline, Miles bacia la ragazza.
Rabbia e gioia, sconfitta e vittoria, egoismo e altruismo si scontrano nell’animo di Matthew. Ma i componenti negativi hanno il sopravvento a favore della realizzazione del figlio Miles. Matthew scompare in un’abbagliante luce bianca. Lo spettatore non lo percepisce subito, è il finale la parte chiarificatrice di questa breve sequenza. Matthew ha deciso di finirla così, di negarsi nella morte, di uscire dal mondo volontariamente in nome di quella dolcezza assassina che gli ha fatto trascorrere delicati e toccanti momenti.
Sembra che Sandra Nettelbeck, parlando di un docente di filosofia, abbia fatto di Michael Caine, straordinario interprete di Mister Morgan, il portavoce attuale della visione della vita portata in primo piano dalla filosofia romantico-decadente di Arthur Schopenhauer, di quel mondo inteso come volontà di rappresentazione, dove, appunto, la volontà è base dell’agire umano, della vita, «di quel pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l’intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia».
E Pauline per Mister Morgan è stata questo, quell’intervallo fugace e illusorio, quel momento di gioia, quell’istante di luce che spacca le tenebre, per dirla alla maniera della Nettelbeck, che squarcia, fuggevolmente, quella estrema, dolorosa e insoddisfacente condizione umana. La volontà di vivere causa sofferenza perché l’uomo è cosciente e razionale e Matthew, da buon filosofo, lo sapeva bene.
Ecco perché ha posto un limite alla volontà, l’ha semplicemente negata. Ma la sua negazione non è affatto schopenhaueriana. Il suo suicidio altro non è che una vera affermazione della volontà di vivere. Porre fine alla vita passata, negandola, equivale ad affermare di essere stati incapaci di ricercare e condurre una vita migliore.