[rating=3] Un lungometraggio complesso quello del regista polacco Lech Majewski titolato Onirica – Field of Dogs. Le sequenze che si intrecciano portano alla ribalta ora i sogni e le visioni di Adam, ora la vita reale quotidiana del protagonista, interpretato da Michael Taterek, ora gli eventi storici e le calamità che colpiscono la nazione polacca – dalle alluvioni all’incidente dell’aereo del presidente Lech Kaczynski – e lo fanno con un ritmo lento, inquieto, angoscioso ed enigmatico.
Adam, promettente docente di letteratura, ha abbandonato la carriera universitaria in seguito ad un incidente nel quale ha perso la sua amata Basie e il suo più caro amico Kamil. Adesso lavora in un supermercato ma riesce ad essere felice solo quando si rifugia nella sua dimensione onirica, nella quale si consola con molteplici visioni nate dalla sua ossessione/consolazione per la dantesca Divina Commedia.
Realtà e sogno si fondono, la zia sembra evocare Virgilio con i suoi ammaestramenti che trovano base nei classici greci, Seneca in primis, nei testi della tradizione indiana e in Heidegger; la donna-angelo, ora alata ora sotto umane sembianze, richiama Beatrice; le situazioni oniriche vissute da Adam ben si confanno alla concezione esistenziale dantesca e alla sua ricerca della Beatrice perduta.
Surrealismo e psicanalisi si intrecciano in una trama che, dalla selva oscura dantesca e dal bosco heideggeriano, si apre verso la luce, verso quella vita virtuosa che oltrepassa il corpo e tende alla ricerca e alla conquista della perfezione dello spirito.
Adam attraversa il traviamento morale, la vita peccaminosa, le angosce esistenziali realmente vissute e cerca scampo, una via di fuga che lo possa redimere. Ed è il sonno che alimenta questa magia. In esso si alternano simboli danteschi e simboli cristiani, fra questi ultimi il serpente, la tentazione, oppure i buoi, animali sacrificali e crociferi spesso considerati simboli terreni del Cristo, la colomba bianca, simbolo dello Spirito santo.
Ma le possibili letture che le sequenze suggeriscono sono molteplici, a partire da quella del serpente, della sua mutazione, simbolo di rinnovamento e di rinascita che conduce all’immortalità. Quell’immortalità che si sublima nel finale, nella visione del corpo esanime di Besia che, al bacio di Adam, si rianima per salire al cielo. Un’immagine straordinaria, quella dei due corpi uniti in un tutto armonico e perfetto, una visione canoviana che richiama alla mente Amore e Psiche, un tristaniano ricongiungimento di amanti. Un’immagine che suggerisce allo spettatore di porre attenzione alla Notte, quella notte dove le anime, i corpi, i suoni, le parole, spesso isolate dalla luce della vita nel giorno, ritrovano affinità, fratellanza meravigliosa e si ricongiungono in una divina oscurità, ignota ai più.
Il pellegrino Adam chiude il cerchio come Dante ha insegnato: la spirale della vita umana, dal peccato alla redenzione, si sublima in un ordine superiore dove Amore muove l’universo. E il viaggio della redenzione è appena iniziato, i due amanti, oniricamente ricongiunti, attraverso un fiume sotterraneo, purificano cristianamente le loro anime con l’acqua, simbolo di una nuova vita senza fine. L’eternità esce dalla visione onirica per farsi reale; sull’altare della Chiesa cade una scrosciante cascata che inonda i fedeli, un messaggio evocativo per sollecitare gli uomini a cercare la sorgente del tutto.
Il film lascia aperte molte possibili letture ma quel che è certo è che il linguaggio del giorno è vinto e sopraffatto da quello esoterico della notte. La notte-morte ricongiunge i due spiriti amanti in eterno. Come sostiene Brangania, nel wagneriano Tristano, morire è nascere all’amore e Adam lo sapeva bene.