Correva l’anno 2008 quando nelle sale arrivò un misconosciuto supereroe corrazzato, interpretato da un attore hollywoodiano dal passato burrascoso: nessuno avrebbe potuto immaginare che quel film (ossia Iron Man, per quei pochi atterrati ieri sulla Terra) avrebbe gettato le fondamenta del Marvel Cinematic Universe. Oltre a far conoscere al grande pubblico supereroi come Ant-Man, Falcon e… Rocket Raccoon, personaggi relegati da decenni nelle polverose segrete del nerdom.

Eppure il miracolo è avvenuto, se dopo 11 anni esatti siamo qui a scrivere, parlare, vloggare di Avengers: Endgame e soprattutto a farlo siamo così in tanti, tutti (o quasi) con il medesimo entusiasmo adolescenziale, a prescindere dall’effettiva età anagrafica.
I motivi di tale entusiasmo sono sicuramente molteplici e vengono da lontano, frutto di una lungimirante strategia “pollicina” che in tempi non sospetti ha pensato bene di portare sul grande schermo quella stessa serialità che oggi rappresenta il core business di Netflix e per cui molti di noi hanno rinunciato ad una vita sociale per dedicarsi al binge watching.
I Marvel Studios e i suoi capoccia hanno infatti capito quello che in casa DC Comics hanno inteso troppo tardi: avendo a disposizione centinaia di supereroi, che senso ha creare dei film stand-alone? Molto meglio connetterli tra loro, far affezzionare lo spettatore alle donne e agli uomini dietro la maschera, anche grazie ad un casting azzeccatissimo e disseminare di briciole/gemme i 21 film che precedono Avengers: Endgame, facendo così salire l’hype alle stelle.
Il risultato di tale strategia è il capitolo finale della saga degli Avengers, un film che omaggia il Marvel Cinematic Universe, ma in fondo non fa altro che premiare la passione con cui milioni di fan hanno seguito per un decennio le gesta di Iron Man e soci. Nelle 3 ore in cui si dipana il film, infatti, i fratelli Russo, con grande onestà, danno allo spettatore quello che si aspetta e per cui ha pagato il biglietto: l’immancabile humor (fortunatamente in dosi omeopatiche), citazioni fumettistiche per i Marvel fan di vecchia data, autocitazioni per coloro che sono cresciuti con i film Marvel, epicità omerica da applausi (nel senso letterale del termine), un pizzico di introspezione e qualche sincero momento di commozione.
Insomma i Russo, pur realizzando quello che può essere definito, senza tema di smentita, la madre (e il padre e pure la nonna) di tutti i blockbuster, riescono a confezionare un film di 3 ore di puro intrattenimento in cui vengono toccate tutte le corde emotive dell’animo umano, chiudendo le sottotrame ancora aperte e lasciando socchiusa qualche porta per consentirci di immaginare il futuro (per ora nebuloso) del Marvel Cinematic Universe.
E pazienza se qualche scelta narrativa è un po’ tirata per i capelli (di Thor) e in alcuni punti la CGI non è degna dei Marvel Studios: alla fine della proiezione si perdona tutto.
Tranne forse l’assenza di scene dopo di titoli di coda, a cui ormai non siamo più abituati, ma che ci riporta improvvisamente sulla nostra poltroncina, ricordandoci che un ciclo si è chiuso e che, in fondo, la fine è parte di qualsiasi viaggio.