[rating=3] L’appartamento pisano non basta più. Vincenzo e Francesca sono una giovane coppia che per anni ha vissuto in quattro stanze con Andrea, attore mancato, Ilaria, ragazza vitale e frivola, e Paolo (o meglio Il Cioni), eterno fuoricorso. Hanno condiviso gioie e dolori, fatica e leggerezza, ma ora è giunto il momento di uscire dallo stato di minorità ed iniziare ad affrontare il mondo, adulto e indipendente. Niente più sbronze sulla piscina in terrazza (salvo la festa di addio): è ora di fare i conti con la realtà. Lavoro, trasferte, famiglia, maternità, morte: quali scelte determineranno la loro vita futura?
Cinque strade che si intrecciano ancora un poco, prima della partenza: dal loro incontro emergono, prepotenti, tutti i conflitti sopiti negli anni della spensieratezza. Non si può più sfuggire: come ogni transizione, anche questo cambiamento porta con sé la crisi di tutto ciò che l’ha preceduto. Ed è inevitabile scontrarsi con i propri fallimenti, con le menzogne e le delusioni, con la difficoltà di decidere finalmente quale piega far prendere al proprio destino.
Sembra tutto complicato e pesante, ma complicato e pesante non è. Il nuovo film di Roan Johnson si distingue proprio per la sua freschezza e semplicità: considerata eccessiva da alcuni, è in realtà un elemento di estremo realismo. Vi è forse un unico momento in cui si rischia la ridondante drammatizzazione mucciniana, ma per il resto sono banditi i pianti greci: il passaggio da un umore all’altro, dallo scontro alla complicità, dall’euforia alla depressione, è spesso rapido, come accade proprio in gioventù. Dilemmi esistenziali e crude difficoltà non interrompono mai il flusso vitale di queste anime.
Ed è normale che sia così: anche il ricordo peggiore si trasforma in un inno alla vita, in una rivendicazione di allegria e vitalità. Cifra simbolica di questa dimensione è il brano Morirò d’incidente stradale dei Gatti Mezzi, gruppo che ha curato la colonna sonora del film. È forse un po’ pretenzioso l’accostamento con Nino Rota, a cui regista e musici dicono di essersi ispirati, ma è vero che una lieve ironia sottende all’opera intera.
Indirizzato alla regia da Virzì, che lo ha prodotto nel collettivo 4-4-2 Il gioco più bello del mondo, Johnson (e con lui la sceneggiatrice Ottavia Madeddu) ha condotto a buon fine l’esperimento voluto dall’Università di Pisa: da un progetto iniziale, che avrebbe dovuto portare alla realizzazione di un documentario sull’Ateneo toscano, il giovane regista ha saggiamente dirottato le risorse su un soggetto più circoscritto e gestibile.
Ne è risultata una grande naturalezza: non semplice spontaneità, ma frutto di un lavoro assiduo e costante. Dalla prima raccolta di testimonianze degli studenti, si è passati ad una sorta di reality in differita, per cui gli attori hanno vissuto realmente uniti nell’appartamento, condividendo la quotidianità oltre al lavoro. Calati nella situazione reale, hanno scelto la via dell’immedesimazione diretta e la pratica della sottrazione: asciugare il più possibile l’interpretazione, eliminando vezzi ed orpelli.
Il tutto anche grazie ad un cast ben definito: Silvia D’Amico (Ilaria), già ottima Rosaria (moglie di Vito Schifani) in Vi perdono ma inginocchiatevi, film di Claudio Bonivento (produzione La7) sulla Strage di Capaci; Melissa Anna Bartolini (Francesca), impegnata anche nel recente Meraviglioso Boccaccio dei Fratelli Taviani; Paolo Cioni (Paolo Cioni), già con Roan Johnson in I primi della lista (2011), e Alessio Vassallo (Francesco), attore televisivo noto anche per il ruolo di Pasquale Campagna (fratello della defunta Graziella Campagna) in La vita rubata di Diana Graziano. Interessante è il binomio tra Guglielmo Favilla (Andrea, I primi della lista di R. Johnson e La prima cosa bella di Virzì), il più credibile e coinvolgente dei giovani, e Isabella Ragonese (sorella di Leopardi ne Il giovane favoloso) qui nei panni di Marta, attrice di successo ed excompagna di Andrea, con cui ha un rapporto di amoreodio. La reale amicizia intercorsa tra i due attori aiuta certamente a rendere piacevole e intimo l’incontro dei due personaggi.
Dunque un lavoro leggero e ben fatto. Se ne potrebbe contestare l’intimismo e la mancanza di una critica sociale forte e necessaria, dati i tempi. Ogni scelta disimpegnata, in un’epoca di tensioni sociali, lascia sempre insoddisfatti e fa temere un eccessiva disponibilità nei confronti del potere costituito. Tuttavia, è vero anche che non arrendersi alla miseria e conservare la leggiadria giovanile, dall’inaridimento cinico o dalla depressione cronica che la crisi può indurre, è compito altrettanto arduo e valevole.
Non ci si attenda perciò un film da Oscar, benché al Festival del Cinema di Roma non sia mancato il premio del pubblico: se è il capolavoro quel che si cerca, meglio indirizzare le proprie energie verso lo sperimentale Birdman. Ciò che questo film garantisce è la verità di un piccolo spaccato di vita, quotidiana, di giovani exstudenti alle prese con una nuova, tarda, maturità.
Si immedesimeranno tutti i fuori sede che hanno vissuto in prima persona situazioni identiche, poiché è a loro che la storia s’ispira.
Forse, però, un sorriso apparirà anche sulle labbra di appartenenti a generazioni più lontane, ma che a loro volta hanno, se non amoreggiato con un cocomero, almeno provato qualcosa di molto simile alla “pasta col nulla”.
E in fondo è più che gradita l’esortazione a cui ricorrono spesso i cinque giovani quando, nei momenti più difficili e quasi disperati, si (ci) chiedono: “che facciamo: ci arrendiamo?”.
Loro parrebbe di no. E noi?