[rating=4] Come si finanzia una guerra? I soldi puliti, quelli che provengono dalle tasse dei cittadini, sono tracciabili. Bisogna farli girare un po’ prima che possano arrivare a destinazione. Molto meglio utilizzare una fonte occulta, o semi-occulta. E cosa può battere, a tale scopo, i proventi del narcotraffico?
Ecco come il Governo statunitense avrebbe finanziato, secondo un articolo di Gary Webb, Premio Pulitzer (1990) e giornalista del Saint José Mercury News di San Francisco, intitolato L’allenza oscura (poi divenuto un libro), la guerra dei CONTRAS in Nicaragua.
Se volete saperne di più recatevi al cinema a vedere La regola del gioco (Kill the Messenger) di Michael Cuesta (L.I.E, Tell-Tale per il cinema, Dexter, The Oaks per la TV). Al di là degli echi che può suscitare, se rapportata all’attualità (sui finanziamenti all’ISIS ci sono ipotesi inquietanti), la storia racconta lo svolgimento di un’avvincente inchiesta giornalistica, condotta dal brillante Webb (alias Jeremy Renner, The Bourne Legacy, American Hustle) contro tutto e tutti. Parrebbe una storia sugli intrighi di potere, oppure una biografia del coraggioso autore. In realtà, è il giornalismo che va in scena. E la dura sorte di chi decide di servire la democrazia e raccontare la verità.
È sempre la stessa storia, ma non perché il soggetto sia mal concepito, bensì perché ogni volta si ripete la storia degli eroi: la scoperta di una verità inconfessabile, la decisione di indagare, il successo, le difficoltà e le minacce, la decisione di andare avanti, il discredito, la diffamazione e il fallimento, un premio che arriva troppo tardi, mentre l’amorevole che li sosteneva famiglia si sfascia… E, infine, la morte. Mai eroica, sempre mistificata oppure usata come scusa mediatica, per esaltare un potere ipocrita e violento, che presenzia ai funerali delle proprie vittime, con arroganza e sfrontatezza.
Non c’è bisogno di andare al cinema per conoscere la trama: è la stessa storia di Falcone e Borsellino, la stessa di Peppino Impastato, la stessa di Don Puglisi, di Ilaria Alpi, di… È la storia di tutti coloro non ho saputo nominare, perché sono troppi o troppo difficili da identificare.
Andate piuttosto a vedere il film per incazzarvi! Indignarvi, se vi piacciono gli eufemismi. E, soprattutto, scoprire la storia di un eroe silenzioso che, come molti, ha voluto dire la verità, pagandone lo scotto.
Il protagonista, dicevo, è il giornalismo e la missione eroica che gli compete. Missione eroica? Perché? Perché dire la verità, informare il pubblico, svelare le manovre che si svolgono nelle segrete stanze, risulta essere un atto eroico? Perché non rappresenta il normale esercizio della funzione democratica che spetta al giornalismo: la mediazione tra rappresentanti e rappresentati (meglio se viceversa). Perché, ogni volta che un giornalista, non asservito o inginocchiato di fronte al potere, decide di fare il proprio dovere, si trasforma, suo malgrado, in eroe? Di questi eroi involontari, persone che amano il proprio mestiere e non chiedono altro che di svolgerlo con dignità e passione, è piena la cronaca. E adesso anche il grande schermo e la TV.
Oggi, infatti, le penne migliori (si pensi a Il quinto potere, film del 2013 su Wikileaks, o alla recente fiction su Oriana Fallaci), sono facili soggetti di una pigra produzione dell’audiovisivo, che conosce bene il target cui mira: complottisti, rettilianisti, dietrologi e, a volte, cittadini liberi e desiderosi di assistere ad uno spettacolo meno osceno dello sproloquio cerchiobottista di certi talk show.
Ciò che rammarica, è constatare che l’orrore non avviene solo in Italia. Non constatare, in effetti, ma ricordare, perché, che sia una tendenza mondiale, è stranoto, ma a volte il nostro provincialismo ci porta a credere che il mostro viva soltanto qui, accanto a noi. Intendo il mostro del Potere che, come vi dirà Ray Liotta, agente CIA, “attrae, incatena e travolge”.
Sul fronte stilistico, invece, scoprirete elementi di JFK di Oliver Stone (1991), un ottimo uso della macchina da presa e delle luci, immagini di repertorio e ricostruzioni documentarie, una sonorità e musicalità discreta, quasi impercettibile e interpreti assolutamente degni. Belle voci, tra cui quella del nostro amato Christian Iansante e altri godibilissimi maestri del suono umano (Stefano Benassi, Luca Biagini, Laura Romano, Massimo Rossi, Ilaria Latini, etc.).
Grande spazio anche alle emozioni e all’introspezione familiare, con momenti di vera commozione.
Forse è stato così solo per me: Forse a voi non accadrà lo stesso; ma al cinema andateci: per quanto film del genere possano essere imprecisi e debbano essere, comunque, sottoposti a vaglio critico (ma io scrivo una recensione di spettacolo, non un’inchiesta), informarsi è sicuramente un modo migliore di spendere il tempo, che non minare i divi ed inveire contro il governo ladro dal salotto di casa. Se poi avete voglia, la prossima volta non ci vediamo al cinema, ma in piazza!