[rating=3] Strano l’effetto suscitato da Casa di bambola sui ragazzi delle scuole superiori. In replica mattutina dopo il canonico fine settimana in cartellone, sempre al Teatro Manzoni di Pistoia (4-5-6 marzo), questa versione del dramma di Ibsen scatena le risate degli studenti, e viene da chiedersi il perché.
Forse che la storia nasconde fioriture tragicomiche? O forse che l’interpretazione degli attori maschili non riesce a sostenere la doppiezza psicologica dei personaggi – e se non fosse per la centrata Valentina Sperlì, l’opera scadrebbe nella farsa. Voce, azione, scena sembrano prendersi gioco dei tanti strati afferrati da una prosa tangibile e fragile, sull’orlo di spezzarsi, che l’adattamento di Roberto Valerio ha semplificato in maniera maldestra.
Ibsen spoglia il teatro borghese delle sue convinzioni e transita su un rovesciamento delle apparenze, con una carica distruttiva e allo stesso tempo di rinnovamento spirituale, che l’ha reso uno dei drammaturghi più rappresentati al mondo. Non convince, qui, l’idea di una Norma inizialmente frivola, e poi sempre più conscia del suo ruolo di “allodola” decorativa. Una donna capace di un gesto estremo per salvare la vita al marito, non può essere dipinta pari a una sfrontata e superficiale creatura, come all’inizio in questo spettacolo.
Per fortuna Valentina Sperlì riesce a scansare i trabocchetti di traduzione – e a restituire l’essenza di una figura che, al momento della sua apparizione, scioccò la società europea. Una madre abbandona la casa e i tre figli per cercare se stessa, dopo essere stata respinta dal marito con un atto infondato d’accusa e poi riavvicinata senza un’altrettanto valida ragione – umiliata e calpestata come un oggetto inerme, una bambola senza valore. Tralasciando il presunto femminismo ante-litteram di Ibsen, è la dimensione intima e tremante della protagonista a coinvolgere gli spettatori di ogni epoca, oltre alla sensibilità di aver centrato la psiche femminile con mira millimetrica. La scena, famosissima, della tarantella napoletana, risplende con una trovata felice del regista Roberto Valerio: la danza meccanica della brava Sperlì. Per un lungo attimo la protagonista si trasforma in un burattino in carne e ossa, generando un’atmosfera inquietante, irreale, simbolica, preludio del punto di crisi e di rottura.
Nonostante le imperfezioni, o meglio la mancanza di finezza nella rappresentazione dei personaggi e dei loro legami, sottili come fili tessuti da un ragno, qui grossolani, Casa di bambola ha riscosso successo grazie al dilemma morale che scatena in tutti noi. Anche i giovani spettatori hanno sicuramente assorbito se non altro una scheggia della piccola e invisibile differenza che scorre tra bene e male.
