
[rating=3] Un pesce argenteo, abituato a nuotare in enormi banchi di migliaia di esemplari, stavolta insieme a due compagni sta disteso su un piatto bianco, portato in giro da una mano tremolante. Sono le sardine il cibo prediletto dalla governante di un cottage sperduto nelle campagne londinesi, seduta sul divano a godersi il suo giorno di riposo. Poi il telefono squilla, la situazione si anima con la presenza del padrone di casa in dolce compagnia che, inseguito dal fisco, si nasconde proprio lì per una scappatella, dato che la casa dovrebbe essere vuota. All’improvviso il regista interviene dalla platea per fermare le prove, “ogni tanto qualche battuta la infili…”, e dare qualche consiglio agli attori che stanno provando lo spettacolo. Siamo davanti ad un bell’esempio di teatro nel teatro, dove gli attori recitano di recitare e soprattutto si muovono in una scenografia tutt’altro che facile, a due piani e con molte porte dalle quali sbucar fuori. Ed è appunto il loro continuo uscire ed entrare, aprire e chiudere le porte sempre al tempo giusto e con battute millimetriche che rende questo spettacolo molto preciso e soprattutto divertente.
Durante le “prove generali” si capisce come deve andare la rappresentazione, ma soprattutto facciamo la conoscenza degli attori quando non interpretano nessun ruolo e sono sé stessi: si va da chi vuole conoscere minuziosamente il motivo di certe azioni prima di compierle, alla perfezionista della scena che ha il testo ottimamente a memoria ma ne rimane come imprigionata, non sapendo improvvisare quando qualcosa va storto, fino ad arrivare all’attore quasi completamente sordo e con il vizietto dell’alcool, che va costantemente monitorato per evitare che si sbronzi durante la commedia. I personaggi risultano molto ben caratterizzati e diversi fra loro, oltre a non omologarsi al ruolo che interpretano in scena.
Nel secondo atto un importante cambio scena ci fa vedere la medesima scenografia ma dal lato posteriore: non vediamo più cosa avviene sul palcoscenico della rappresentazione ma cosa succede dietro le quinte. Il pubblico, che ha appena ascoltato la commedia come dovrebbe essere, stavolta assiste a come viene ricostruita dal punto di vista degli attori e può quindi percepire i meccanismi ma soprattutto gli errori che si vengono a creare sulla scena. La comicità è molto ritmata e la presenza di equivoci scaturiti da alcune love story nel cast creano quell’evoluzione di movimenti, di scambi, di battute, di oggetti che non sono dove dovrebbero o che sono dove non dovrebbero, di errori e di gags comiche che rendono questo spettacolo molto piacevole e spassoso. Le due ore e mezzo compresi due intervalli volano via rapidamente.
Dalle quinte è possibile vedere logiche e dinamiche che in genere restano nascoste, come il ruolo del regista, talvolta enfatizzato come se fosse un dio, che sprona, sgrida e incita i suoi attori, conoscendoli nel profondo e quindi sapendo quando è il momento di pretendere da loro e quando invece di lasciare la presa. Esce fuori l’umanità degli attori e del regista, le loro debolezze e superstizioni. Nel terzo atto si riesce quasi a prevedere cosa diranno gli attori prima che aprano bocca, essendoci entrati così sotto pelle le loro emozioni.
E’ impressionante vedere, nel secondo atto, sei attori contemporaneamente in scena che si muovono in uno spazio ristretto con oggetti in mano che si scambiano, si lanciano, scherzano, creano situazioni comiche e subito dopo le distruggono, si amano e si lasciano, tutto ad una velocità sbalorditiva e senza sbavature. Merito di un ampio rodaggio in scena: nel 1982 il regista di allora pensava che fosse uno spettacolo troppo “british” per funzionare in Italia, da allora però non si è mai fermato, con oltre trent’anni di rappresentazioni ininterrotte. Il cast, mutato solo dall’incessante passare del tempo, è quindi completamente a suo agio in uno spettacolo che richiede, oltre alle capacità comiche, un senso spaziale, un ascolto e una sincronia fuori dal comune.