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Sogno di una notte di mezza estate incanta il Silvano Toti Globe Theatre

Torna sul palcoscenico la fiabesca commedia di Shakespeare che, ancora una volta, con la regia di Riccardo Cavallo, incanta il pubblico

[rating=5] E’ calda e avvolgente questa commedia shakespeariana, proprio come la notte in cui è andata in scena la prima, la notte di S. Lorenzo.  “Amami o odiami, entrambi sono a mio favore. Se mi ami, sarò sempre nel tuo cuore, se mi odi, sarò sempre nella tua mente.” L’Amore, in tutte le sue accezioni, filiale, passionale, platonico è ancora una volta il protagonista, stavolta in un’atmosfera fiabesca, sospesa, consapevolmente, tra sogno e realtà.

Seppur sia ormai una tradizione la rappresentazione di quest’opera al Globe, non ci stanchiamo mai di rivederla e di apprezzare la semplicità e la maestria con cui Riccardo Cavallo e tutti gli interpreti intrecciano riso e sorriso amaro, fantasia e razionalità.

Sogno di una notte di mezza estate è una delle prime commedie scritte da Shakespeare, una delle più popolari e delle più difficili da comprendere. Non è facile spostarsi senza forzature dal mondo di Teseo, duca di Atene, e Ippolita, regina delle Amazzoni, che stanno per celebrare il loro matrimonio, a quello rappresentato dal bosco incantato le cui redini sono in mano ad Oberon e – in seconda battuta – a Titania. Non è banale trasporre il concetto, all’epoca attuale, della supremazia degli dei, dell’irrazionale, sul mondo terreno. Non è scontato recitare in maniera impeccabile in versi e muoversi agevolmente sul palco, simulando uno scontro fisico, come quello della scena in cui Lisandro e Demetrio, per effetto dell’incantesimo, sono entrambi perdutamente innamorati di Elena e si azzuffano.

E vediamo la povera Ermia, ormai rifiutata dal suo amato Lisandro, trasportare tutta sola un trolley quasi moderno nel mezzo del bosco. E’ bastato un po’ di succo di fiore per mutare i sentimenti dei due giovani proprio perché, come spesso ci ripropone Shakespeare nei suoi versi, l’animo umano è facilmente corruttibile. Da donna contesa tra due bei ragazzi, Ermia diviene nel giro di una notte, una ragazza sola, perduta e non voluta più da nessuno. Persino contro suo padre si era messa per amore di Lisandro. La sorte si ribalta in un batter d’occhio. Elena, dapprima rifiutata anche in malo modo da Demetrio, si ritrova improvvisamente tra quest’ultimo e Lisandro, entrambi rapiti dal suo fascino e si sente derisa, presa in giro, pensa sia la stessa Ermia a prendersi gioco di lei e da amiche diventano acerrime nemiche.

E tutto questo intrigo altro non è che il frutto di un capriccio di Oberon e di un errore del suo folletto Puck, tipica figura shakespeariana. I fili sono manovrati da loro due che hanno deciso i destini dei quattro giovani e, forse, si divertono anche un po’ a vederli così “fuori di sé”.

A spezzare questa malinconica atmosfera, gli artigiani ateniesi che devono mettere in scena una tragedia per le nozze di Ippolita e Teseo. Si esprimono in dialetto, sono buffi, spontanei e improvvisano una comicità che ci riporta al quotidiano e ci allontana dalla fiaba dell’amore nel bosco.

Poi si risvegliano tutti dal “sonno della mente” e le cose si risistemano, a lieto fine e qualcuno dall’alto ci ricorda che: “Siamo fatti della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni, e la nostra vita è circondata dal sonno”.

Molto semplice ma espressiva la scenografia, così come i costumi, originali e senza tempo, cioè è difficile capire in quale epoca storica siamo. E’ tutto sospeso ed onirico, come l’anima della commedia.

Ottima la resa del metateatro, così come la recitazione, la scioltezza nella parola, nella gestualità e nei movimenti.

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