
Carisma fuori dal comune, empatia, predisposizione al contatto umano, voce calda che usa come vuole, Rocco Papaleo conduce la serata a modo suo. Ironizza su tutto, a luci accese, sipario spalancato: sui brigidini di Lamporecchio, sul fatto che sindaco e assessori della cittadina toscana siano seduti nelle ultime file e non in posti d’onore – e l’intrigo di frasi introduce subito il marchio della sua comicità semiseria, agrodolce. L’inusuale prologo prosegue, in modo da ridurre i confini tra realtà e spettacolo, far perdere all’attore le tracce di sé. Questo è uno degli aspetti più interessanti di Una Piccola Impresa Meridionale a cui abbiamo assistito, da un lato show puntellato di cabaret e musica, dall’altra innesto di parti recitate, cantate o puramente strumentali.
L’istrionico Papaleo è accompagnata da un complesso complessato, una band sconclusionata, in sostanza, da un quartetto di musicisti eccellenti: Francesco Accardo alla chitarra, Jerry Accardo alle percussioni, Guerino Rondolone al contrabbasso, Arturo Valiante al pianoforte. Geograficamente sono tutti uomini del Sud Italia, artisticamente, internazionali, e raccontano storie di provincia con gli strumenti, la maestria e la grazia di chi sa unire tecnica e inventiva.
Rocco Papaleo, in un’intonazione impeccabile, arrangia brani jazz (ma anche sonorità proprie del tango e delle marce di paese) con ricordi d’infanzia e momenti della vita adulta, tenere immagini del figlio, scene coniugali di ordinaria follia. Canta di solitudine, voglia di amare, della famiglia d’origine e di quella che ci costruiamo. Traspare da ogni gesto e sguardo la sua tipica autoironia sarcastica, con cui sa sverniciare un sentimento fatto di amore/odio per il Meridione, tenerezza e indulgenza, sommate a un retrogusto vagamente amaro.
Il palco è in mano sua e, contemporaneamente, anche agli altri membri del gruppo – non solo musicisti sopraffini, ma in grado di reggere il gioco delle parti, dando vita all’impianto scenico. Belle le luci e la scenografia, costruita con quelli che sembrano resti di un Luna Park, smontato e rimontato con apparente casualità. La mano del regista è quasi trasparente, tanto non si avverte una direzione precisa, e sembra che lo spettacolo si autocostruisca in maniera indipendente dalla sua volontà. Pregio e difetto, questo, che pervade Una Piccola Impresa Meridionale.
La serata si conclude e i suoni di una band che alla fine diventa un vero, rispettabile ensemble, continuano a persistere nella memoria.